mercoledì, novembre 29, 2006

 

IDDIEMME

Taccuino n. 39

Nel mezzo del cammin di nostra vita mi ritrovai per una selva oscura che la dritta via era smarrita… Ma no, non c’entrano i poeti con Marco Follini, che d’altronde non possiede neanche “le fisique du role”, con quel portamento da signorino sviziato e di impeccabile aplomb che si ritrova, tanto che nemmeno un violento urlo nell’orecchio destro riuscirebbe a farlo sobbalzare. Né sono da meno il suo collega onorevole Riccardo Conti e gli amici di ventura Enzo Scotti, Riccardo Ventre e Ortensio Zecchino. No, l’Italia di Mezzo è tutt’altra cosa che un antico poema o una disperata ode. E’, invece, un arcano dei tempi nostri, alla cui spiegazione nessuno ha saputo dare una risposta esauriente. Ma se non è il parto di una mente estrosa e neppure di un gruppo di buontemponi, allora da dove diavolo sarà spuntata questa IdM che giunge, buon ultima, a rimpinguare la già nutrita schiera di partitoni e partitini (non partiti), movimentoni e movimentini (non movimenti), squadroni e squadrine (non squadre)? Presto detto, l’Italia di Mezzo è nata da un adulterio! Sì, proprio così. Se non ci fossero stati gli incontri goderecci tra sinistra e destra, gli ammiccamenti tra Berlusconi e d’Alema e la irrefrenabile tentazione di coricarsi insieme nel giaciglio degli orgasmi di illiberalità ed antidemocraticità consumati, oramai da quasi tre lustri, dalle due coalizioni, l’IdM, con molta probabilità, non sarebbe mai nata. Invece, pur con tutte le precauzioni assunte da coloro che in questi anni hanno utilizzato le ideologie come un preservativo, da utilizzare, cioè, ogni qualvolta si consumava il tradimento dei valori etici, morali e politici, il figlio non voluto è nato lo stesso. Che sia il frutto di una gravidanza indesiderata, questo lo si capisce bene dalle lamentazioni provenienti da chi, l’Udc in primo luogo, per antica posizione politica, non ha potuto prendere in considerazione nessuna efficace pratica abortiva, né, per lo stesso motivo, ha potuto riconoscere e naturalizzare una creatura concepita al di fuori del vincolo sacramentale. Ecco spietato, così, l’accanimento demonizzante verso il neonato partito che, come un trovatello abbandonato in mezzo alla strada, rischia di far proseliti proprio tra i tanti passanti, tra la gente orfana, a sua volta, di una politica morta, sacrificata alla bramosia di un drappello di capibranco che hanno trasformato i partiti in società con il loro nome e le istituzioni in società col nome dei loro partiti. Quegli ingordi delle due coalizioni che amano agire indisturbati, senza terzi incomodi, per spartirsi ciò che resta di un patrimonio dilapidato e saccheggiato dall’ignavia e dall’affarismo, figuriamoci se potevano accettare e tollerare un pargoletto criticone e indisciplinato che dichiara di voler cambiare l’assetto politico-istituzionale che sta conducendo l’Italia al declino ed alla deriva. Macchè, i regimi non contemplano la discussione e il confronto ma solo l’ubbidienza e l’asservimento. Che se lo ficchino bene in testa Marco Follini e i suoi amici, così come Antonio Flovilla e gli altri incauti dell’IdM lucana. Già, perché proprio in Basilicata, l’Italia di Mezzo ha trovato adepti impensabili per un partito che non ha poltrone da offrire, né finanziamenti da gestire. Certo, nessuno è di primo pelo, dall’ex deputato Gianfranco Blasi ad Antonio Di Sanza e Nicola Manfredelli, Michele Napoli e Matteo Trombetta, ma è fuor di dubbio che, essi più di altri, incarnano quella spinta passionale verso il cambiamento che è il vero macigno da rimuovere in una regione dove la gente è stata per troppo tempo inutilmente costretta a rimanere con la testa piegata. Guai ad alzarla e voltarsi intorno. Proprio per questo non si sono fatti attendere gli ammonimenti preventivi e le minacce sottintese che, puntualmente, sono giunte verso coloro che potrebbero esprimere simpatia e condivisione per il progetto di superare i blocchi che hanno portato al blocco del fare politica per lo sviluppo dell’economia, della democrazia, della libertà. Non a caso, il più diffuso tentativo di condizionamento dell’opinione pubblica è stato quello di dipingere l’IdM come un progetto utopico e velleitario. Come la traversata di un vascello che salpa verso l’ignoto seguendo rotte ed itinerari incerti e pericolosi. Certo che è così. Ma perché, oggi non si naviga a vista, senza la bussola dei valori e dei principi che dovrebbero guidare il buon governo della società? E’ sufficiente, ciò per pensare, senza nessuna benevolenza preordinata di scribano o di testata che, come le caravelle di Cristoforo Colombo, il viaggio velleitario dell’IdM consenta di riscoprire la politica promessa e non l’aridità di una pratica gestionale che conduce al naufragio politico e culturale? Se così non sarà non basterà richiamarsi al passo della Bibbia in cui si dice che “piove sui giusti e sugli iniqui”. Qui c’è di mezzo l’Italia e il suo futuro!

Gianmatteo del Brica

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venerdì, novembre 17, 2006

 

ARIA FRITTA

Taccuino n. 38

Ci ritorno. Eccome, se ci ritorno, sulla questione delle nomine negli enti regionali. D’altronde, qualcuno dovrà pur fare il paladino a difesa, non di una o due persone, ma di oltre 1.600 esclusi, prima illusi e poi rimasti ingannati da un marchingegno a prova di spudoratezza scientifica. Atteso che l’amnesia collettiva che ha improvvisamente colpito, oltre ai “dis-partiti”, perfino gli organi di “dis-informazione”, (tranne, ovviamente, il Balcone e qualche altra “finestrella” informativa) ha portato a disattendere, clamorosamente, i postulati fondamentali della normativa pubblica sugli incarichi che richiedono requisiti di professionalità e non di appartenenza politica, non si creda che sia stato semplice, per Ds, Margherita, Udeur, Sdi, Rifondazione, PdCI, Verdi, IdV e Forza Italia, trovare la formula giusta per infliggere l’esemplare punizione, ai meno osservanti, e per dare la salutare lezione dimostrativa, ai più recalcitranti. Per chi non l’avesse compreso, proprio di questo si è trattato. Il vero obiettivo da conseguire con le nomine da parte della “tirannide partitica” che governa e inciucia in Basilicata non era, paradossalmente, il contentino clientelare da assicurare ad amici e conoscenti, ma il messaggio intimidatorio da far giungere, con tecnica banditesca, a migliaia di persone per far meglio comprendere l’assetto di potere discrezionale precostituito. Non “fortunati” in mezzo a tanti, perciò, ma “mazzieri” più o meno inconsapevoli, per conto dei guappi di un quartiere “a poca edificazione”, pomposamente sorto in fondo alla discesa, con dubbio stile “ventennio fascista”, grazie ai soldi dei cittadini contribuenti. Così, si giustifica il sacrificio dei vari segretari di partito, da Antonio Potenza a Rocco Rivelli, e di tanti consiglieri regionali, da Emilia Simonetti a Rocco Vita, Rosa Mastrosimone, Franco Mollica, Cosimo Latronico, che hanno dovuto chiedere a se stessi ed ai propri parenti o affini, sfidando eroicamente il principio dell’incompatibilità e del buonsenso, di prestarsi ad essere nominati negli enti, indipendentemente dalla sovrapposizione con altre eventuali attività perché, tanto si sa, si tratta di enti che non richiedono grande impegno, per lo più inutili, che esistono proprio e solo per essere “strumentali” ai giochi di bottega. Purtuttavia, le polemiche sorte intorno al pacchetto di nomine da confezionare ad ogni inizio di legislatura, hanno richiesto uno sforzo supplementare di messa a punto della sceneggiata di stagione, in modo da dare un minimo di infiocchettata parvenza istituzionale ad un provvedimento esclusivamente ad uso e consumo dei giovanotti a capo del parco dei divertimenti della Regione. Allora che cosa si sono inventati i diavoletti del quartiere dei “belli di giorno”? Nientemeno che un brainstorm di studiosi ed esperti di fisica e matematica (anche se le prof. Du matematica, di questi tempi, sconcertano non poco i benpensanti), uno “strizzamento di cervelli” da cui ne è scaturita la formula in base alla quale si è giunti alla definizione delle nomine negli enti. Dai verbali segreti delle convulse riunioni di palazzo risulta, ad esempio, che il segretario dei Ds è stato “mandato all’Università” sulla base del seguente postulato: sia Uf (Unione-forza italia) un insieme di insiemi, allora esiste una funzione S (spartizione) tale che per ogni P (partito) appartenente ad Uf si ha una SP di competenza dei vari P. Trovata geniale per procedere non solo alla nomina dei 104 amministratori di enti e società pubbliche regionali ma per spingersi, sulle ali dell’entusiasmo, addirittura a stabilire la competenza di ognuno sull’intero pianeta lucano. Evvivaddio, una volta tanto che si può agire con il conforto della scienza, perché non approfittarne fino in fondo. Tanto, chi vuoi che vada a vedere se si tratta di pensatori illegittimi anziché cattedratici di riconosciuta competenza. Così, senza colpo ferire, in occasione delle nomine, gli specialisti del rastrellamento di incarichi e risorse pubbliche, sono giunti a spartirsi perfino gli elementi costitutivi del creato: la terra, l’acqua, il fuoco e l’aria. L’acqua, come è noto, è stato deciso che sarà di competenza dell’Udeur, la terra, dei Ds ed il fuoco del sottosuolo petrolifero, della Margherita. i Sull’aria, invece, si è aperta, una duplice contesa con tanto di inqualificabile messinscena, ammantata di sensibiltà energetico-ambientalista, ma sostanziata da evidente fervore eolico-affaristico. Nessuna decisione è stata assunta ma, in attesa di conoscere a chi dovrà rispondere il dio Eolo, possiamo esserne certi che ai fini delle esigenze dei cittadini lucani, si tratterà, ancora una volta, di aria fritta.
Gianmatteo del Brica

venerdì, novembre 10, 2006

 

INSULTRAGGIO

Taccuino n. 37

Furbi, cinici e senza scrupoli, falliti, bugiardi e affaristi, incapaci, arroganti e presuntuosi.

Sto parlando dei governanti giunti a far parte di quella specie di “combriccole di regime” rappresentate dalle pubbliche istituzioni gestite a mò di consigli di amministrazione, dei politicanti a capo delle “cooperative del disonore” cui si sono oramai ridotte le coalizioni politiche, dei “sindacalisti autoreverse” posti a recitare copioni utili alla loro ed all’altrui bisogna ma scritti sempre dallo stesso regista di palazzo, dei “galoppini sculturati” per frequentazione palestrota e per insipienza culturale.

Padoa Schioppa è una schiappa, Rutelli un ammosciapippa, Casini un mediocre trecartista di una qualsiasi area di sosta autostradale che finisce per non ricordare esso stesso chi vince e chi perde, la Gardini una infantile interprete del “mà Ciccio mi tocca, toccami Ci”, Di Pietro un patentato ignorantone e Mastella uno sporco terrone. Più difficile è riuscire a trovare qualche efficace definizione offensiva per Luxuria dal momento che l’epiteto di “frocio” profferito dalla Mussolini fa riferimento ad una parola di origine greca che, addirittura, ha il significato di saggezza.

Non così, invece, per i nostri eroi di cartone che sono alla guida delle istituzioni lucane. Essi sono come i dispensatori “stupefacentieri”, creatori di pericolosi sogni, di false illusioni e di spolianti dipendenze.

Sono insulti ed oltraggi? Nessuna preoccupazione. Me lo posso permettere. Ce lo possiamo permettere, e finalmente giustizia è fatta.

D’ora in avanti, infatti, anche i comuni cittadini potranno liberamente insultare, soprattutto se provocati. Anche a distanza di tempo, come per le provocazioni che per decenni il popolo ha dovuto sopportare senza poter liberamente reagire.

Lo stabilisce una sentenza della Corte di Cassazione che ha giustificato ogni pesante ingiuria di una gentile signora verso coloro da cui si sentiva infastidita. I supremi giudici della Corte, con la sentenza numero trantaseimilaottantaquattro hanno stabilito che “sussiste l’esimente, quando la reazione iraconda segua il fatto ingiusto altrui e consegua ad un accumulo di rancore, per effetto di reiterati comportamenti ingiusti, esplodendo, anche a distanza di tempo, in occasione di un episodio scatenante ed in risposta ad una condotta negligente delle persone offese”.

Vien da pensare che in primis, nello stilare il disposto della sentenza, ai giudici siano balenate le colpe di un “convoglio governativo” che è stato capace di trasformare la locomotiva del miracolo italiano e dei giacimenti lucani in una diligenza squinternata che ad ogni passaggio, anziché benessere e progresso, ha lasciato polvere e briciole del bivaccamento di bordo.

Finora pochi l’avevano ben messo a fuoco, ma oramai è certo. Uno dei principali motivi del progressivo degrado delle nostre realtà risiede proprio nell’inibizione della libertà di insulto da parte della popolazione verso i propri governanti.

Ma con la rimozione di tale vincolo da parte della Corte di Cassazione, finalmente, può essere liberata l’energia propulsiva delle parole sporche, che Freud considerava la molla fondamentale per il progresso e la civiltà.

Si tratta di una pratica che affonda le radici nell’antichità e di cui Vito Tartamella, autore di un recente testo intitolato per l’appunto “Parolacce” puntualizza che le prime tracce scritte in italiano volgare si trovano in un affresco del dodicesimo secolo nella chiesa di S. Clemente a Roma.

Ma alla tradizione si affianca, oggi, la scienza, che ha scoperto come nel cervello umano esiste un vero e proprio apparato specializzato nel produrre e archiviare le parolacce, in grado di resistere anche ai traumi ed alle malattie. Si può perdere la parola ma non le parolacce: per questo motivo esistono Sgarbi e la Mussolini, Luxuria e la Gardini, Calderoli, Ceccherini, Al Bano, Zequila, Platinette. Non dimentichiamo, inoltre, che grazie agli insulti di Materazzi a Zidane, l’Italia è diventata campione del mondo, sennò hai voglia ad aspettare le prodezze di Totti.

Tuttavia, questi protagonisti sembrano essere poca cosa rispetto alla maestria insultatoria degli antichi babilonesi. A quei tempi, perfino il basilico, ritenuto curativo e benefico per eccellenza, veniva seminato pronunciando frasi zeppe di insulti, oltraggi e maledizioni.

Pertanto, se quella civiltà è da prendere a riferimento per risollevare le sorti, la Basilicata e l’Italia possono davvero sperare. Più Babilonia di così!

Gianmatteo del Brica

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venerdì, novembre 03, 2006

 

NOMINATION


Taccuino n. 36

Non ci siamo molto lontano. Dopo lo spettacolo offerto per le nomine negli Enti, oramai il consiglio regionale della Basilicata somiglia sempre più a una specie di reality show, una rappresentazione indecifrabile di uno scenario istituzionale dove non si capisce bene a che punto finisce la realtà e quando inizia la finzione.
La contesa semiseria riguarda oltre cento enti, comitati, uffici, commissioni, fondazioni, e chi più ne ha ne metta, concepiti con prolificità inimmaginabile per una regione a saldo demografico negativo e istituiti con la scusa di rafforzare e modernizzare l’azione pubblica nel governo dei processi per lo sviluppo economico e sociale.
Riflettiamoci un attimo su. Di quanto può migliorare, ad esempio, la qualità della vita dei cittadini lucani, con la nomina dei nuovi dirigenti del Comitato Misto paritetico sulla regolamentazione delle servitù militari (sette componenti effettivi, più un supplente), dei Consigli di aiuto sociale presso i capoluoghi di ciascun circondario dei Tribunali regionali (quattro componenti), della Fondazione Casa di riposo G. Acquaviva di Pietragalla (un componente)?
C’è veramente di che dormire sonni tranquilli! Manca soltanto la Commissione per lo studio delle rotte degli uccelli e il Circolo per la tutela dei fichi secchi.
La verità è che attraverso questo escamotage di dare vita ad una pletora di enti del tutto inutili, si alimenta un modello di costruzione del consenso politico, sempre più vizioso e sempre più disinvolto, fatto di favori di scambio e clientele politiche, che finiscono per sottrarre risorse rilevanti agli interventi indispensabili nel campo della scuola, delle infrastrutture, dell’occupazione.
Siamo di fronte ad un vero e proprio esercito di “accontentati” con stipendi e indennità, a volte di vergognosa entità in una regione ancora afflitta da vaste sacche di povertà.
Di professionalità neanche a parlarne perchè, come è evidente, tali postazioni sono puntualmente appannaggio di coloro che non sono stati eletti al Parlamento, alla Regione, alle Province, ai Comuni, ecc. Fa eccezione, in questa tornata di nomine, soltanto il povero Peppino Molinari che ritenendosi anche truffato, oltre che trombato, in uno scatto di orgoglio, ha dignitosamente rifiutato la poltrona di Amministratore unico dell'Azienda Territoriale per l'Edilizia Residenziale (Ater) di Potenza. Però, non basta, se al contempo, non ci si adopera per sradicare seriamente il malcostume di un sistema politico che utilizza il potere acquisito per fare scempio delle regole democratiche e dell’utilizzo delle risorse pubbliche. Come in occasione delle nomine negli enti da parte del Consiglio regionale.
Quella parvenza di simulacro della democrazia cui è purtroppo ridotta la massima Assemblea territoriale, ha offerto una recitazione che nulla ha a che vedere con l’esercizio responsabile della gestione della cosa pubblica.
Ben milleduecento domande per entrare a far parte del “club delle nomination”. Aspiranti eccellenti, altri meno noti, molti assolutamente anonimi, tutti, però, rigorosamente catalogabili con il cartellino delle appartenenze che assicurano le nomination che potranno essere prese in considerazione. Neanche l’illusione che il proprio curriculum e le proprie capacità possano costituire gli elementi di valutazione per lo svolgimento delle specifiche funzioni e dei compiti relativi agli enti di cui si dovrà far parte. Altro che imparzialità e trasparenza. Si è giunti perfino a protestare pubblicamente, da parte dei Verdi, dell’Italia dei valori e degli altri cosiddetti “partiti minori” verso l’ingordigia e l’incetta di nomine appartenenti ai Ds, alla Margherita ed all’Udeur. Non da meno, una parte della minoranza che, anziché reclamare il rispetto delle corrette procedure, ha lasciato intendere di pretendere una equa spartizione nelle nomine da effettuare. Roba da primissima repubblica, altro che nuova prassi politica.
Si è nominati, in sostanza. Questa è la regola. Come i protagonisti del Grande Fratello, dell’Isola dei famosi, di Circus, di Pupe e secchioni, e via dicendo, nel campionario delle moderne demenzialità. D’altronde, il reality show, così come il Consiglio regionale, non è altro che una rappresentazione di situazioni drammatiche e umoristiche caratterizzate da una certa manovrabilità da parte della regia. L’esito finale è sicuramente fuorviante, diseducativo e preoccupante per l’intera collettività.
Il neurologo Rosario Sorrentino, membro dell’Accademia scientifica americana, afferma che alcuni reality show tendono a ridurre l’autostima dei giovani ed a causare in loro senso di insicurezza, improvvisi cambiamenti di umore e dei comportamenti alimentari, aumento dell’aggressività e dell’abitudine ad abusare di alcool e droghe. Una prospettiva che le future generazioni non si meritano e che richiede un grande cambiamento nella vita politica economica e sociale regionale.
“Sud-svegliati che è tardi…” scriveva Antonino Scuzza, grande personaggio e filosofo autodidatta lucano, a pochi noto, scomparso negli anni sessanta. E si poneva l’interrogativo: “il mio pensiero è assente, ma il tuo dov’è?” Per favore, non rispondete con un’altra nomination!


Gianmatteo del Brica

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