venerdì, ottobre 06, 2006
AMORALITA'
C’era una famiglia, mamma Rosina, papà Luigi e quattro figli, di nome Francesco, Domenica, Rocco e Debora. Nelle nostre famiglie, si sa, con l’ultimogenito ci si concedeva il lusso di uscire fuori dalla tradizione e di “segnare” il rampollo di più tenera età con un appellativo modaiolo o inusuale che, a pensarci bene, è stato il primo segnale della falla che si è progressivamente aperta nell’istituzione familiare. La famigliola era completata da nonno Ciccio, componente aggiuntivo, gradito a grandi e piccini, per affetto di stirpe ma anche per titolarità di assegno pensionistico mensile, utile per la sopravvivenza di tutti. Una famiglia come tante, imperniata sulla saggezza, sulla laboriosità e sul rispetto di quei valori morali tramandati di generazione in generazione, che hanno miracolosamente consentito al popolo italiano, impoverito e malridotto dagli eventi bellici, di percorrere, a grandi falcate, il cammino verso lo sviluppo e il benessere. Nel segno di tutti per uno e uno per tutti. Rosa e Luigi riuscivano a camminare lassù, sulle misere zolle di montagna, appena sufficienti ad immaginare il giorno che doveva arrivare. Ma non si persero d’animo, lavorano sodo e in umiltà e non furono più servi del vecchio padrone. Così, conobbero la città, si svincolarono del pudore e del timore del vicinato, allargarono le loro conoscenze e la loro mentalità. Non più rispetto delle antiche usanze e dei principi fuori del tempo, ma moderni atteggiamenti dettati solo dai nuovi riferimenti comportamentali. Quelli dell’interesse personale sopra di tutto, del compromesso ammesso in ogni caso, della furbizia spicciola a danno di chiunque, del cinismo teorizzato e sistematicamente praticato. Anche verso i figli e gli amici più bisognosi. La vecchia famiglia ne risultò annientata e, senza più l’antico spirito di vicinanza e solidarietà, i genitori si dedicarono ad accumulare proprietà e ricchezze, alla figlia Domenica fu riservato un matrimonio di convenienza, Francesco che non aveva studiato fu abbandonato al proprio destino, i figli più giovani, Rocco e Debora, smentendo il detto latino che “nomen omen” (il nome è destino), finirono per fare i camerieri saltuari ogni qualvolta dovevano impasticcarsi. Insomma, quasi senza accorgersene, non si sa come e perché, ma tutte le virtù familiari sparirono e lasciarono il posto ad un lento declino che annullò ogni sacrificio compiuto ed ogni progresso conseguito. Il capofamiglia non volle più ascoltar ragioni e consigli da parte degli altri e pensò esclusivamente ad autoalimentare il proprio potere. Man mano scomparve il sentimento unificante, la visione collettiva, la passione civile e presero il sopravvento l’egoismo individuale, l’utilitarismo sfrenato, la degenerazione comportamentale. Fu il trionfo dell’amoralità e dell’ingiustizia, ed a pagarne le spese furono soprattutto i soggetti più deboli della famiglia: nonno Ciccio, che per poter finire i propri giorni rinchiuso in una casa per anziani dovette impegnare l’intera pensione e Francesco, che per poter continuare ad utilizzare il vecchio casolare ed a coltivare l’orto nel terreno di proprietà dei genitori, fu costretto a pagare un fitto mensile, impegnando gran parte del ricavato delle dure giornate da bracciante. Proprio come i servi di tanto tempo addietro. Proprio come la maggior parte dei cittadini di oggi. Sottoposti all’ingiustizia di una logica amorale e di un modo di agire delle oligarchie di potere che finiscono per sconfessare se stesse e ciò che rappresentano, pur di mantenere l’impalcatura privilegiata. Nessuna morale e nessuna ideologia, né di destra, né di sinistra. La legge finanziaria, di cui tanto si parla, non è né di taglio riformista, né di stampo conservatore. Semplicemente è amorale! Nel senso che non ha nessun rapporto con la morale. Non diciamo quella dei trattati di Cartesio, del Manzoni, di Kant, di Nietzsche, ma quella del civile buonsenso che avrebbe dovuto sconsigliare, ad esempio, di reintrodurre il ticket sul pronto soccorso ospedaliero e, ancor più, di non essere finanche sbeffeggiati dalla “Ministrina” Turco. Ci vuole molta faccia tosta, da parte dell’altra “mascella esageratamente spronunciata”, insieme alla collega gemella Rosy Bindi, ad affermare che si tratta quasi di un servizio aggiuntivo basato sulla dissuasione dei furboni italiani ad andare a trascorre i weekend al pronto soccorso degli ospedali superstiti che ancora non sono stati chiusi. Ma cosa va a pensare, cara Ministra? Le è mai passata per la testa che questa tassa la pagheranno solo i poveri meno poveri, perché quelli più poveri eviteranno di verificare la portata di qualsiasi malanno? Ha mai visto, per caso, un ricco presentarsi al pronto soccorso di un ospedale pubblico? E se l’immagina, gentile Livietta, un cittadino che per non corrispondere l’ingiusto obolo al suo pensare deve sperare che il disturbo avvertito sia un vero infarto? Questa volta la morale della favola è proprio triste: l’amoralità delle persone e dei governi è peggiore dell’immoralità. E’ così che degenerano le famiglie, ed è così che si fa morire la politica.