martedì, settembre 26, 2006

 

PROVOCAZIONE 2

Taccuino n. 29
Mai proposito fu più opportuno, come quello di provocare. Anche a rischio di far dispiacere chi, per amabilità e signorilità, non meriterebbe di essere annoverato tra gli occultatori e i millantatori di una realtà molto diversa, da quella quotidianamente dipinta per la “terra senza confini”. Cominciamo proprio da qui. Se le parole hanno un senso, e non sono soltanto un pretesto per riempire spazi di tempo e accompagnare inutili riti, bisognerebbe immediatamente bandire dal vulgo lucano, tale definizione. Essa, infatti, lungi dal rappresentare uno slogan originale per indicare la Basilicata, costituisce una vera e propria sciocchezza, che cozza violentemente con la strategia politica del rafforzamento dell’identità regionale che, come è noto, è basata, invece, sull’esaltazione della specificità territoriale e culturale.
Due sono le ipotesi: o, tale idea, non è farina del sacco di De Filippo, oppure il governatore lucano non è, come si narra, l’attento studioso di materie letterarie e trattati filosofici. Propendo per la prima spiegazione che, però, non salva del tutto il massimo rappresentante istituzionale, in quanto, si dimostra che i condottieri nostrani, non sono altro, che semplici pedine di una scacchiera dipinta con le logiche del ricatto e dell’opportunismo.
Da parte di chi? E’ presto detto. Innanzitutto degli intermediari dell’affarismo istituzionalizzato. A partire da quello del condizionamento politico e sindacale e giù, giù, nella catena di Sant’Antonio, fino a quello economico e dell’informazione. Si tratta di meccanismi delicati e pericolosi, sui quali è di prassi l’omertà e l’accondiscendenza utilitaristica, e che solo una sana e consapevole libidine provocatoria può portare, in qualche misura, a smascherare. Esercitazione non semplice, ma necessaria, per tentare di uscire fuori dalle sabbie mobili, di un tran tran senza sbocchi, che alimenta un perverso sistema di trappole e trabocchetti, infruttuoso per tutti, maggioranza e opposizione, lavoratori e imprenditori, ricchi e poveri.
Che abilità, ragazzi. Da nessun altra parte si è stati capaci di far proprio, il primato di un gioco, che alla fine, non ha nessun vincitore, ma esclusivamente perdenti: non solo chi ubbidisce, ma anche chi comanda. Ognuno si crede più furbo dell’altro, senza rendersi conto, che i trucchi messi in atto, finiscono per confondere ed imbrogliare proprio se stessi, rendendo vittime innocenti le future generazioni a cui si rischia di consegnare un territorio devastato ed una cultura devastante.
E allora, è una esagerazione voler dar fondo alla provocazione più spinta per mettere a nudo la cruda realtà? Non lo credo, perciò procediamo con qualche utile esemplificazione.
Prima provocazione: i sindacati scimmiottano i partiti, costano molto, sono quasi del tutto subalterni al potere politico e, pertanto, le ricorrenti analisi socio-economiche dei tre moschettieri di montagna, Falotico, Vaccaro e Delicio, pur condivisibili nella forma, risultano false, nella sostanza di una pratica collaterale e consociativa alla Giunta regionale ed ai partiti che governano. Di fatto, i segretari di Cgil, Cisl e Uil, nel loro fare “di pendolo”, a mò di cucù oscillanti, tra il richiamo delle rispettive chiese madri e la funzione cui sono titolati, stanno accompagnando la chiusura dei battenti di numerose aziende, che vanno via dalla Basilicata, dopo aver beneficiato di rilevanti finanziamenti statali e regionali, in cambio solo di qualche assunzione clientelare in occasione delle tornate elettorali. Non è di questo sindacato-cuscinetto che si ha bisogno, ma di un soggetto in grado di svolgere una corretta funzione di rappresentanza delle istanze dei lavoratori e dei cittadini.
Seconda provocazione: nella funzione di collettore di risorse finanziarie pubbliche e di occupazione clientelare, la cooperazione si è sostituita alle imprese che hanno finora operato nei diversi settori produttivi, strumentalizzando e svilendo i principi della solidarietà e della mutualità, che sono stati i valori fondanti della cooperazione. In compenso, i vertici delle centrali cooperative, dalla ineffabile Wilma Mazzocco al più sobrio Donato Scavone, sono stati ammessi nel ben remunerato consiglio di amministrazione dell’Asi. Questa cooperazione non è una originale forma di organizzazione del lavoro e dell’impresa ma una ulteriore sovrastruttura, inutilmente costosa, se non finanche dannosa.
Terza provocazione: l’informazione è generalmente piegata e genuflessa ai potentati politici, a partire dal telegiornale regionale, il cui direttore, il solo nell’apparenza pio, Renato Cantore, in modo a volte sfacciato e arrogante, garantisce loro, la vetrina monopolistica di cui dispone. Non da meno, va considerato l’operato del più noto opinionista lucano, Nino Grasso che, da moderno Bertoldo, usa la buona e la malalingua, a seconda dell’occorrenza. Una siffatta informazione è la negazione della libera circolazione delle idee che caratterizza una società democratica.
Ultima provocazione: ma è proprio vero che il popolo lucano mantiene alto il vessillo dell’orgoglio e della dignità umana? O, piuttosto, quella che è scambiata per integrità non corrisponde a semplice sudditanza e capacità di sopportazione? Senza l’OK e la tutela del potere pubblico, con in testa il governatore Bubbico, ci sarebbe mai stata una ribellione come quella di Scanzano? Nossignori. Perciò, che nessuno si senta offeso dalle provocazioni. Replichino, dimostrino il contrario, ma non pretendano di farci credere che non è colpa di nessuna e che è Dio che lo vuole.

Gianmatteo del Brica

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