mercoledì, agosto 30, 2006

 

BELLA GENTE

Taccuino n. 23
“Ilala ilalà ilalà… Che bella gente, capisce tutto. Sa il motivo, ma non il trucco”. Che bella gente, il popolo dei vacanzieri estivi. Quelli lucani, per il 90% scelgono il mare ed i motivi sono molteplici e perfino giustificati. Come non dare ragione, infatti, dopo tanta fatica e sacrificio, a chi, boy palestrati, mister rigenerati e lady rimodellate, non vede l’ora di giungere sui luoghi dello stravaccamento appagante? Essi sanno bene, però, che non possono perdere tempo perché, da un lato, l’ineluttabilità dei processi biologici e, dall’altro, l’inadeguatezza delle politiche di governo del territorio e degli elementi naturali, rendono sempre più incerta, soprattutto in Basilicata, la possibilità di assicurare anche in futuro una delle principali conquiste collettive: quella del libero sfogo popolare che si manifesta attraverso l’invasione umana a quota zero, tra terra e acqua, nel periodo di maggior calura.
La gente lucana, pur temprata dalle secolari avversità, rispecchia i caratteri fisico-biologici di tutti gli altri esseri umani, che eterni non sono, nonostante l’ingannevole apparenza indotta dall’inossidabilità politica di coloro che hanno avuto modo di mettere le mani sulle leve del potere.
Se fossimo fatti di polistirolo, non avremmo eccessivi problemi nel nostro rapporto con il mare. Prima di degradarci, infatti, avremmo a disposizione circa mille anni di tempo, mentre, piaccia o no, siamo, invece, molto più assimilabili alle gomme da masticare o ai cotton-fioc che, al massimo, hanno una durata di trenta anni, prima di doversi privare dell’impareggiabile piacere del dolce dondolio alternato tra le onde del mare ed i raggi del sole. Fresche carezze e calde vampate. Una specie di innocente bigamia a cui la maggioranza dei cittadini lucani, non intende rinunciare. D’altronde, qualche trasgressione bisogna pur concedersela. A peggiorare, però, la situazione, giunge la notizia che da qui ad un tempo non biblico, la Basilicata rischia di rimanere senza spiagge a causa della più elevata percentuale, dopo le Marche, di erosione delle proprie coste. La principale motivazione risiede nella riduzione dei sedimenti che, dopo la costruzione di dighe e sbarramenti, non giunge più a mare. Ergo, i nostri governanti, non solo non hanno saputo organizzare un governo delle acque capace di rispondere alle esigenze degli agricoltori e dei cittadini ma, con la “fregola”, molto edificatoria e poco edificante, che da sempre contraddistingue i nostri amministratori, a seguito della costruzione di oltre una decina di invasi nel territorio lucano, addirittura, è stata messa a repentaglio una delle poche distrazioni che è dato concedersi: quella di una vacanza al mare in grado di recuperare ed alimentare l’indispensabile immaginario illusorio degli individui post-moderni.
Altro che regione senza confini bagnata dai due mari; in questo modo, la Basilicata rischia, invece, di diventare la terra isolata da tutto e collegata solo con il cielo, la luna e le stelle. Inutile allarmismo, si dirà, perché non vi è dubbio che dal cilindro della giunta regionale qualche rimedio sicuramente giungerà e quanto prima troveremo, ad esempio, l’annuncio di un fantasmagorico programma di interventi senza orizzonte, simili a quelli del patto per i giovani e per l’occupazione; un programma assolutamente innovativo che sarà basato sull’istituzione di numerosi corsi di formazione professionale per astronauti o, comunque, per saltatori nello spazio. Per tutti gli altri rimarrà, in ogni caso, in vigore e sarà rifinanziata la legge sulla cittadinanza solidale, che sarà estesa anche alle persone che non supereranno il tetto delle “cinque giornate” di mare per anno.
Resta, tuttavia, un problema: come farà la gente ad andare al mare se mancheranno le spiagge? Niente paura, perché, in questo caso, la fortuna è dalla parte del popolo lucano che, a differenza di quello molisano, si ritrova un assessore regionale poco “pecoraniano” e “ragionevole” ambientalista, come Franco Mollica, che è già prontamente intervenuto. Come? Innanzitutto, partendo dal ragionamento che per andare al mare, ci vuole il mare! Su questa base, la Regione Basilicata ha già adottato i primi provvedimenti per il cosiddetto “ripascimento” (termine caro al Ministro Pecoraro) della costa, con una sperimentazione su ben duecento metri di litorale jonico, che non è poca cosa, tenendo conto che su ogni metro possono starci da due a quattro persone, a seconda se singole o accoppiate, ma in quest’ultimo caso a discapito dell’abbronzatura di tutti.
Restano solo due considerazioni su cui sorvolare: la prima, che l’intervento della Regione consiste nell’adozione di un brevetto che ha portato a spendere in studi preliminari circa 200.000 €, pari ad un quarto dell’intervento complessivo; la seconda, che a pochi passi da questa innovativa sperimentazione, la stessa Regione Basilicata ha autorizzato, proprio alla foce del fiume Basento, la realizzazione di un porto turistico che costituisce una delle principali cause di erosione della costa.
Normali contraddizioni, furbe abitudini o prepotenti imposizioni? Probabilmente ci vogliono far credere che, se ti butti nel fiume e nuoti controcorrente, prima o poi ti stanchi e il fiume ti porterà al mare e se ti butti nel fiume e ti lasci andare, il fiume ti porterà al mare.
La morale è un paradosso: sono sempre gli stessi che, mentre ci rendono difficile andare al mare per divertirci, pare proprio che vogliano buttarci a mare per affogarci.
“Ilala ilalà ilalà… Che bella gente, capisce tutto. Sa il motivo, e pure il trucco”.
Gianmatteo del Brica

martedì, agosto 29, 2006

 

SCONCERTAZIONE

Taccuino n. 22
Basta pensare solo a quanti tavoli occorrono, a fronte delle innumerevoli materie e delle infinite tematiche, per nutrire i primi seri dubbi, sulla metodologia concertativa che tutti invocano, governi, sindacati, associazioni, partiti. Concertazione, sembra quasi la parola magica capace di evocare scenari risolutivi per ogni terrena afflizione mentre, in realtà, costituisce, né più né meno, che la puntuale recita del copione sottoscritto dal consorzio delle compagnie sindacalistituzionali. Oramai, per qualsiasi argomento, di primaria importanza o di ininfluente rilevanza che sia, si istituisce o si reclama un tavolo di concertazione. Il tavolo, ovviamente non è solo metaforico, perché molte volte, questa invocata pratica di “giocoleria relazionale”, richiede necessariamente il supporto, ligneo o metallico, indispensabile per sostenere drink, stuzzichini e leccornie varie, messe a disposizione, manco a dirlo, dal patrimonio della collettività. Intorno al tavolo si consuma il vero rito. Che non è quello della risoluzione dei problemi della gente ma quello del rinnovo dei taciti accordi sulla distribuzione del potere tra i diversi commensali. E basta che si verifichi appena appena, che una corporazione o un sindacato risulti emarginato dal gioco, come è successo con il decreto Bersani o con il Documento di programmazione economica e finanziaria predisposto dal governo, che subito scatta la protesta e la minaccia di manifestazioni, scioperi e ritorsioni politiche. La cosa curiosa e divertente è che il tutto avviene attraverso una specie di reazione a catena che parte dai centri capitolini per espandersi lungo tutte le diramazioni peninsulari ove i replicanti di Presidenti, Ministri, Segretari, si affannano a divulgare note e proclami, minacciosi o accondiscendenti, secondo l’occorrenza. Così, finisce che anche da noi, fioccano annunci cartacarbonati alla Prodi, valutazioni pseudoeconomicofinanziarie alla TSP (Tommaso Padoa-Schioppa) oppure proclami ad elevato tasso di EBF (Epifani-Bonanni-Foccillo), per non parlare delle ricette categoriali montezemoliane amplificate dal codazzo ruralcooperativartigiancommerciale.
In questo gioco delle parti, talvolta comico e quasi sempre di nessuna utilità per i cittadini che si dice di voler rappresentare, si può vedere tutto e il contrario di tutto, senza che succeda nulla, a patto che si convochi qualche tavolo di concertazione, buono per la reciproca legittimazione delle parti e delle controparti. E così aumenta la confusione, si confondono i ruoli, si butta fumo negli occhi, al solo scopo di preservare il giocattolo che assicura non solo divertimento ma anche rilevanti benefici. Come potrebbe spiegarsi diversamente il fatto che, appena emanato, i sindacati hanno bollato come preoccupante il Dpef, mentre subito dopo l’incontro con il governo, pur senza nessuna modifica del provvedimento, come d’incanto, tutti i dubbi e le perplessità sono svaniti e sono stati accettati perfino i tagli alla sanità ed agli enti locali. Da noi, ad esempio, si comprende bene, che da un poco di tempo a questa parte, l’Assessore Fierro è sotto il tiro dei partiti della sua stessa coalizione, Ds e Margherita in particolare, che hanno affidato proprio alle loro organizzazioni collaterali il compito di criticarne l’operato. Pronta la risposta dell’esponente della giunta regionale che ha accusato le organizzazioni agricole di demagogia e di protesta strumentale. Ci potete scommettere anche l’unghia dell’alluce del piede sinistro, che da qui a breve, sarà svolto un summit concertativo, magari con ricca degustazione di prodotti tipici, che riporterà il sereno e l’armonia, dopo che i partiti si saranno accordati sulla spartizione degli incarichi negli enti subregionali e le associazioni di categoria avranno ottenuto un qualche finanziamento regionale. Nel frattempo il settore arretra sempre di più e gli agricoltori sono sempre più penalizzati, perfino dai loro rappresentanti. Per comprendere fin dove arriva l’inganno della concertazione di facciata basta pensare che l’ex segretario della Cgil, Giannino Romaniello, puntualmente nominato Presidente dopo le elezioni regionali, di uno dei tanti CPC (Comitato Pubblico di Consolazione) ha proposto la creazione di uno specifico tavolo di concertazione con i Parlamentari lucani, la Giunta regionale ed i rappresentanti di Upi, Anci ed Uncem per trovare una soluzione al caso dei circa seicento lavoratori socialmente utili che rischiano di perdere alcuni diritti assicurativi e previdenziali. Come dire, visto che c’è il problema, utilizziamolo per farci un poco di pubblicità, tanto che importa, pudore e coscienza non sono categorie di riferimento di questa stagione politica.
Ecco, in cosa, oggi, si sostanzia veramente la concertazione: ognuno svende all’altro qualcosa, senza neanche rimetterci niente, perché alla fine a pagare sono soltanto i cittadini. Infatti, si potrà mai pensare ad una concertazione per ridurre i costi della politica e di funzionamento dei partiti e dei sindacati? Nossignori, quelle sono materie dei privilegi intoccabili, perfino più delle proprie mogli e dei propri mariti che, oramai, devono rassegnarsi a non essere considerati il dono più prezioso della umana esistenza.
Altro che forma di dialogo e di confronto tra soggetti istituzionali, autonomie territoriali, autonomie funzionali e soggetti privati, teso alla risoluzione di problematiche generali o settoriali, in modo da realizzare strategie il più possibile condivise e partecipate.
Se è così come viene praticata, cioè un gran balletto di chiacchiere, un mezzo per procurarsi vantaggi e non un fine per lo sviluppo e il progresso, allora, la concertazione non è altro che un vero e proprio falso ideologico, una propaganda ingannevole, un compromesso indegno, insomma, uno sconcerto. Per non piangere, non ci resta che la “sconcertazione”!

Gianmatteo del Brica

lunedì, agosto 28, 2006

 

30 E ALLODOLE

Taccuino n. 21
A parere di molti politici, sindacalisti e organi di informazione lucani, con il decreto legge “Disposizioni urgenti per il rilancio economico e sociale, per il contenimento e la razionalizzazione della spesa pubblica, nonchè interventi in materia di entrate e contrasto all’evasione fiscale”, il governo Prodi si è meritato un bell’encomio. Vedremo, nell’attuazione concreta del provvedimento, se veramente si tratta di un intervento che accende il motore della ripresa. Per adesso, bisogna ammettere che esso ha centrato l’obiettivo di indirizzare l’attenzione soprattutto sugli aspetti secondari del dispositivo messo a punto dal Presidente del Consiglio insieme ai Ministri dell’Economia e dello Sviluppo Economico, quelli, cioè, indirizzati alla liberalizzazione ed alla promozione della concorrenza e di far passare in secondo piano la manovra correttiva dei conti pubblici per il 2006. Se l’intento era quello di attirare tutte le allodole possibili il governo si merita il massimo dei voti: trenta e lode, o meglio, allodole. Lo specchietto è stato costruito ad arte ed i primi a cascarci sono stati nientemeno che il governatore De Filippo, il segretario dei Ds, Lacorazza, e il presidente di Confindustria, Martorano; le cosiddette tre gambe della strana creatura del potere istituzionale, politico ed economico regionale.
A dire il vero, a questo organismo ameboide che detiene lo scettro del comando locale, va sempre aggiunto lo pseudopodo del sindacato di regime che, anche per l’occasione, si è dimostrato appendice inutilmente protuberante dal momento che il “decreto aspirina”, pur essendo stato varato senza concertazione, non ha generato nessuna vibrata protesta da parte dei confederali paladini dell’ovvio utilitaristico.
Non deve sfuggire, però, che per la natura dei provvedimenti assunti, finalmente hanno potuto esultare alla grande, udite udite, “perché con il decreto si interviene in settori fino ad oggi controllati da categorie protette” (sic!), le loro cuginette cooperative, manco a dirlo considerate alla stregua di novelle partecipazioni statali da parte di chi, con esse (leggasi Iri-Sme), ha costruito le proprie fortune ma ha anche causato le disgrazie di tanta gente, di primo e di secondo piano, utilizzata e mandata allo sbaraglio.
Come si suol dire, Prodi non è proprio uno stinco di Santo e non ha mai brillato neanche per coraggio e fantasia, a differenza di Bersani, che è riuscito a confezionare quasi alla perfezione il “decreto allodole”, consentendo al Presidente del Consiglio di presentarsi come l’abile cacciatore che, in un modo o nell’altro, riesce sempre a riempire il proprio carniere. Perfino in Basilicata, dove il “decreto vendetta” non offre grandi spunti di interesse per i lavoratori e i cittadini.
Sorprende, perciò, che con tanta enfasi ed entusiasmo, i massimi rappresentanti lucani si siano precipitati a decantare un provvedimento che è stato argomentato con non poca approssimazione ed evidenti contraddizioni. A sentire le parole di De Filippo, Lacorazza e Martorano, sembra quasi che si tratti di una legge speciale per la Basilicata, una sorta di “decreto riscatto-lucano”, in grado di rimediare a tutti gli errori commessi. A partire da quelli sui giovani, sulle categorie produttive, sulla burocrazia, sull’innovazione, sull’occupazione.
Ritenere, come fanno le autorevoli personalità richiamate, che il “decreto suggestione”, senza neanche liberalizzare l’unica materia per noi di grande interesse, come quella dell’energia, possa risolvere gran parte dei drammatici problemi che affliggono l’economia e la società lucana, significa arrampicarsi sugli specchi e farsi abbagliare dagli specchi. Proprio come le allodole. Non a caso, esse sono per i cacciatori le specie volatili che danno le maggiori soddisfazioni. Basta un fischietto a soffio (sul collo) o a vite (stretta sui cordoni della borsa) per farle obbedire all’ordine del proprio carnefice. Le allodole rispondono al falso richiamo con il loro canto melodioso fatto di due differenti e autoreferenti versi: “io-io” e “mio-mio”, emessi ad intervalli regolari nel corso dell’intera legislatura.
Shakespeare chiamò le allodole “messaggere del mattino” perché cominciano a cantare alle prime luci dell’alba, proprio come, a quanto è dato sapere, sono adusi i nostri personaggi nello svolgimento del loro quotidiano cimento nel gioco fra cielo e terra dentro i palazzi del potere. Però, è anche vero, che questi individui “mattutini” si addormentano già al primo accenno di crepuscolo, a differenza di quanto avviene per gli individui “serotonini”, come i gufi, gli allocchi, le civette, i barbagianni, che sono in grado rimanere svegli fino a notte fonda e che, a dispetto della loro nomea, sono dotati di grande acutezza e saggezza. Anche nel valutare un “decreto ottonato” come quello proposto dal governo. D’ora in avanti forse sarà più utile “allodolare” di meno e “gufare” di più. Quantomeno non dovremo sopportare i danni e le beffe che finora ci sono stati procurati.

Gianmatteo del Brica

sabato, agosto 26, 2006

 

PALLONARI

Taccuino n. 20
L’Italia, quella del pallone, sta giocando proprio male, ma tanto che importa, a giudizio di tutti è il risultato che conta! E così, sempre più spesso, osserviamo allo stadio o davanti alla tv, tifosi disinteressati alla qualità del gioco espresso dalle squadre, per dedicarsi disinvoltamente ad altre attività più usuali alle nevrosi moderne. Se poi ci scappa il goal, l’urlo della massa segnalerà l’avvio del rito idolatrante gli eroi dai piedi bullonati.
E’ come in politica. Oramai, ciò che conta è la gestione del potere e non l’esercizio della passione e dell’impegno per la crescita civile e democratica delle nostre comunità. Così, non importa tanto se i partiti sono incoerenti e inadeguati rispetto alle necessità della popolazione, ma soltanto se vincono o meno le elezioni, se impongono Ministri ed Assessori, se si accaparrano Enti e Società di servizi.
In questo modo, però, né la nazionale di calcio, né quella della rappresentanza politica, risultano fatte dai giocatori più bravi quanto, piuttosto, da quelli che meglio sono funzionali al meccanismo che ha segnato la fine del bel giuoco e la fine della nobile politica. Non solo, ma come è evidente dal continuo turn over nella formazione della nazionale e negli assessorati di Regione, Province, Comunità montane e Comuni, non essendoci più i grandi fuoriclasse, va a finire che uno equivale all’altro e che impiegare un giocatore o nominare un assessore anziché un altro è più o meno la stessa cosa, basta che appartenga ad una delle scuderie espressione della logica del sistema “moggiano”.
Ma, oramai ci siamo e, quantunque, imposti dall’ex potente “Lucky” Luciano Moggi, i giocatori che devono cercare di mantenere alto il prestigio pallonaro italiano sono quelli cui, di riffe o di raffa, Marcello Lippi ha assegnato una maglia azzurra.
Così come, allo stesso modo, giusto o ingiusto, seppure grazie a lobby e clientelismi, i componenti della squadra di governo regionale sono quelli cui, alle elezioni, i cittadini lucani hanno dovuto accordare il loro consenso.
Curiosa coincidenza, quella della similitudine tra la Basilicata e la nazionale di calcio.
Buffon, Zambrotta, Grosso, Cannavaro, Nesta, Gattuso, Pirlo, Perrotta, Totti, Toni, Giardino. E’ questa, più o meno, la formazione della nazionale varata dall’allenatore Lippi, con le varianti possibili di Materazzi, Zaccardo, De Rossi, Barzagli, Barone, Inzaghi, Iacquinta.
Finora questi giocatori non sono stati capaci di esprimere molto di più di un ferrea difesa, che non ha consentito agli avversari di perforare, se non su autorete, la porta italiana. Come dire: il solito catenaccio all’italiana, utilitaristico, furbetto e pronto a scaricare sulla sorte avversa, tutte le colpe, qualora le cose dovessero andare male nel prosieguo del mondiale.
Al loro pari, anche la squadra che governa la nostra Regione non è stata in grado di sviluppare un granchè di azioni significative per far fronte con piglio autorevole alle sfide che la competizione a livello mondiale richiede.
Va da sé che la nostra formazione locale si sovrappone e combacia perfettamente con quella stilata da Lippi. Portiere: Falotico=Buffon, veri numeri uno, impeccabili nello stile e nell’eleganza con cui sono adusi abbrancare tutto ciò che giunge nei loro paraggi: palloni, scommesse ed incarichi. Terzino destro: Digilio=Zambrotta, mastini tracagnotti capaci di confondere tutti, avversari, compagni e camerati. Terzino sinistro: Folino=Grosso, gente che si impegna sempre, due aironi in stato di grazia Ciceronesca: “tacete non destateci dal sogno”. Stopper: Salvatore=Cannavaro, hanno il dono della sospensione dopo lo stacco e questo consente loro di prevalere nelle zuccate aeree ma quando giungono a terra i loro “pensieri pericolosi” li portano ad essere fastidiosamente “fallosi”. Libero: Fierro=Nesta, quando entrano in azione è un altro mondo: qualità, classe, tecnica, abilità imbonitrice. Insomma, “Magister docet”. Mediano: Nardiello=Gattuso, ringhiosi, spesso maldestri, però determinati come nessuno a non mollare l’osso, da inconsapevoli discepoli dell’Alfieri “volli, volli, fortissimamente sempre volli”. Regista: Restaino=Pirlo, qualche giocata di classe ma anche abulia di dimensioni grandi, grandissime, quasi smisurate. Sono oramai connotati come gli uomini-pendolo in moto perpetuo tra la possibile leadership indiscussa ed il probabile gregariato. Centrocampista: Santochirico=Perrotta, possono fare di tutto, dalla difesa all’attacco, eppure, alla fine, la loro prestazione risulta quasi sempre distratta, bislacca, fiacca e senza grandi invenzioni. Naturalmente, Santochirico durante la partita beve molto. Si serve direttamente dall’Acquedotto Lucano, dove ha lasciato una impronta indimenticabile. Centravanti: De Filippo=Toni, su di loro erano riposte le grandi speranze di riscossa di tutti i popolarpallonari, aspettative finora disattese da parte di questi osannati cicciobelli brillantinati e patinati della serie “non è tutto oro quel che riluce e non è neanche eterno il fondoschiena fortunato”. Mezzapunta: Pagliuca=Totti, sono le eccezioni, gli unici burini ammessi a corte, i puponi strafottenti e simpatici capaci di usare il cucchiaio con i piedi e gli sci con le mani. Seconda punta: Pittella=Gilardino, sono come le mezze stagioni, ogni tanto qualche gol gli salva la prestazione ma non ne cancella le responsabilità per le grandi occasioni sprecate. Allenatore: Coviello=Lippi, capitani di lungo corso appassionati del modulo “uno-quatto-quatto ci si intrufola” alla Juve, all’Inter, alla Nazionale, al Senato, in qualche Ente o Commissione. Male che vada ce li troveremo alla Presidenza della più grande federazione esistente nel paese dei pallonisti: la F.I.P., Federazione Italiana Pallonari. D’altronde il mondo è quasi rotondo come un pallone.
Gianmatteo del Brica


venerdì, agosto 25, 2006

 

REGALINTRIGO

Taccuino n. 19

Ci voleva proprio un Principe caduto. Non dal trono, perché per un probabile e forse provvidenziale imbroglio storico, non vi è mai salito, quanto dal letto! Che poi non sia il baldacchino di una reale dimora, ma il giaciglio a castello del carcere di Potenza, poco importa, anzi, è ancora meglio.
Se doveva cadere, fisicamente e metaforicamente, Vittorio Emanuele, non c’era posto più giusto che quello del capoluogo lucano. Così, in un sol colpo, tanti impensabili obiettivi sono stati raggiunti ed è stato possibile dimostrare al mondo intero l’insospettabile maestria che ha portato a compiere un capolavoro di marketing territoriale, un raro esempio di finezza politica, una illuminante corroborazione delle idealità umane. Insomma, un miracolo politico in cui, prima del magistrato “terremoto”, come viene definito Henry John Woodcock, nessuno vi era mai riuscito. Finora, infatti, quasi universalmente, con il termine “potenza” era intesa una grandezza riferita al campo della fisica, e tutti i grandi investimenti istituzionali si erano rivelati inefficaci per far conoscere altrove questi luoghi dell’entroterra meridionale, saltati a piè pari, dalla Campania alla Calabria. Dopo gli accadimenti recenti, invece, non vi sono più dubbi, e ad ogni latitudine, tutti conoscono finalmente questo impareggiabile ombelico del vizio fustigato. La Giunta regionale dovrebbe essere grata a Henry John Woodcock! Grazie alla sua iniziativa, ora può tranquillamente procedere alla soppressione dell’Apt, ente ritenuto indispensabile fino a ieri l’altro e divenuto improvvisamente inutile e dannoso. Vuoi vedere che la Giunta regionale abbia concordato con la magistratura le iniziative più opportune di rilancio dell’azione di governo?
Finora, inoltre, politicamente, la Basilicata era stata sistematicamente liquidata, come un quartiere di Napoli o Roma, assolutamente ininfluente nella dimensione nazionale.
Dopo gli ultimi avvenimenti, invece, essa diventa scenario di azione politica di ampio respiro, con l’accostamento tra le presunte amorali discendenze reali e le espressioni più rappresentative della opposizione politica italiana. Il Governo nazionale dovrebbe essere grato a Henry John Woodcock! Grazie alla sua iniziativa può far meglio digerire il cambio di strategia governativa che prevede una manovra finanziaria correttiva che si prefigura come un vero e proprio salasso dei contribuenti italiani. Vuoi vedere che la magistratura ritorna ad essere un tassello decisivo dell’architettura istituzionale e politica?
Finora, infine, il popolo lucano, non aveva potuto esprimere nessun vero sussulto ideale e democratico che non fosse guidato dal potere imperante.
Dopo i fatti che si sono verificati con l’inchiesta choc, si apre, finalmente, una speranzosa breccia nel muro delle disillusioni e delle false illusioni dei lucani, che possono, così, individuare nei protagonisti della vicenda i nuovi appigli cui agganciare e rafforzare il pensiero e la morale umana.
I cittadini lucani dovrebbero essere grati a Henry John Woodcock! Grazie alla sua azione temeraria è riuscito pressoché a soppiantare quello sparuto gruppo di sbiaditi eroi nostrani con una inarrestabile morbosità collettiva verso le disavventure e le disgrazie che sono proprie di un tonfo come quello provocato dalle accuse giudiziarie rivolte a Vittorio Emanuele ed agli altri indagati.
Vuoi vedere che nei palazzi di giustizia si vorrà allocare l’azione di supplenza della sempre più carente iniziativa politica e sociale delle istituzioni, dei sindacati, della chiesa?
Tutto vero, tutto scontato, tutto inutile. Compreso l’eventuale ennesimo intricato e, in questo caso, “regale” intrigo, di cui nessuno sa chi veramente sia a tirare le fila.
Forse l’attore Ulderico Pesce, che mosso da malcalcolato furore ha cercato di cavalcare e calcare tigri e palcoscenici facendo leva sul cliché “artiutilitarpolitico” della macchia Passannantesca della famiglia Savoia.
Meno male che Vittorio Emanuele è caduto! Il suo ruzzolare dal letto del carcere, è come uno spicchio di luna nella notte buia di un governo della società che da noi ha fatto man mano venir meno tutti i miti e gli ideali. Quelli della giustizia e delle istituzioni, per nulla rispettosi dei principi universali della democrazia. Quelli dei campioni dello sport, sempre più lontani dallo spirito originario delle competizioni senza trucchi. Quelli degli uomini e dei partiti politici, sempre più distanti dai problemi della gente comune.
A questo punto non ci resta che guardare con benevolenza ad un Principe che, come qualsiasi altro comune mortale, casca dal letto, dorme poco e male, deve rispettare l’orario delle medicine, manda un saluto alla nipotina, si preoccupa di recuperare la camicia pulita e, cosa non secondaria, non risulta essere meno lontano da tutti noi, di quanti, grazie al potere che gli assicura la politica, utilizzano per proprio tornaconto mezzi e finanziamenti pubblici, ostentano auto, barche e griffe di vario tipo, elargiscono consulenze miliardarie, mortificano quotidianamente i principi della democrazia.
I loro vizi, non sono dissimili da quelli addebitati a Vittorio Emanuele, forse sono soltanto meglio mascherati e ciò non deve sfuggire all’opinione pubblica ma soprattutto alla giustizia.
Niccolò Machiavelli, nella sua opera “Il Principe” affermava che esistono “virtù dannose e vizi benefici”. Appunto!
Gianmatteo del Brica

giovedì, agosto 24, 2006

 

E FESTEGGIAMO!

Taccuino n. 18
Cosa c’è di meglio che organizzare una grande festa alla quale, da primi cerimonieri, poter invitare tutti? Probabilmente poche altre cose.
Flavio Briatore, che proprio morigerato osservante di uno stile di vita rigorosamente sobrio non è, lo sa bene e, di continuo, sovrappone le sue soddisfazioni sportive a quelle festaiole, organizzando fantasmagorici raduni nei suoi possedimenti terreni e galleggianti. Particolare non secondario, Flavio Briatore è molto ricco!
Vito Santarsiero, sindaco di Potenza e Gianpiero Perri, amministratore delegato dell’Officina Rambaldi, hanno presentato un programma di festeggiamenti per la città di Potenza, senza precedenti. Una specie di campionato grand prix, che si svolgerà durante i prossimi mesi con manifestazioni di svariate tipologie. Costo dell’operazione: 100.000 euro. Non del Comune, non della Comunità Montana, forse della Provincia, forse della Regione. In ogni caso, delle tasche di tutta la popolazione perché, proprio per far fronte a questi irrinunciabili interventi, sia il Comune che la Provincia di Potenza, hanno deciso di aumentare al massimo la percentuale delle tasse, delle imposte e dei tributi a carico dei cittadini potentini.
Il Comune di Potenza, non solo non è ricco come Briatore, ma presenta un deficit di bilancio che non gli consente neanche di assicurare i servizi fondamentali ai propri abitanti. Purtuttavia, bisogna festeggiare comunque. Come quelle famiglie di turisti che, a costo di indebitarsi e di sacrificare le settimane estive ad una sofferente promiscuità in alloggi superaffollati, non rinunciano in alcun modo alla vacanza a Praia a Mare o a Scalea. Fa parte del rito. Fa parte dell’autoincensamento. Ed allora, ecco che la promiscuità amministrativa e strumentale di ciò che resta della gloriosa città di Potenza, presenta e fa vedere solo la copertina colorata di un libro non scritto in tutti i suoi capitoli, forse per pudore, superficialità o furbizia.
Ma, a pensarci, si comprende bene il motivo vero della multiforme iniziativa dei festeggiamenti del bicentenario: dopo Bubbico, basta con la centralità dell’attenzione su Matera. E’ tempo, invece, di riportare la leadership culturale nella città di Potenza. Basta anche con le impuntature solitarie di Fierro sull’improbabile aeroporto da realizzare e via con le cose politicamente più redditizie, come quelle del polo della cultura, utilitaristicamente sperimentate da Santarsiero e dalle sue variopinte cordate. Non a caso, il governatore De Filippo, già all’inizio dell’anno ha promulgato la legge regionale sulla finanziaria 2006, contenente uno specifico articolo sulla celebrazione del bicentenario della proclamazione della città di Potenza a capoluogo della provincia di Basilicata.
Il programma dei festeggiamenti è nutrito e perfino apprezzabile, se non fosse per qualche spericolata puntualizzazione che l’impianto dei festeggiamenti richiede. Già, perché, da noi, guai a chi tocca ciò che viene presentato con l’etichetta della cultura. Che poi sia simil-cultura, pseudo-cultura, falsa cultura dell’apparenza o, peggio ancora, business erudito, poco importa. L’importante è riuscire a suggestionare l’immaginario popolare facendo leva sui meccanismi delle più sofisticate tecniche pubblicitarie.
D’altronde, le bugie che piacciono di più, sono proprio quelle che sembrano delle grandi verità. Come quella della crescita del turismo con i festeggiamenti del bicentenario di Potenza capoluogo di Regione. Suvvia, lo capiscono anche i bimbi che questa è una delle classiche favole raccontata tante volte, da non poterne più, neanche con la promessa che in occasione del bicentenario, il Basento diventerà navigabile e Naomi Campbell si rinfrescherà nelle fresche acque del disinquinato fiume.
Ma niente di tutto ciò. Con il bicentenario avremo a Potenza, a spese della Regione, le bande in piazza, le parate in costume, le mostre d’arte, le orchestre musicali, le rappresentazioni teatrali, le proiezioni video, le recitazioni poetiche, le esibizioni dei gruppi musicali. Esattamente quanto gli anonimi e meritori comitati di quasi tutti i nostri piccoli Comuni, da anni, organizzano con grandi sforzi ed enormi sacrifici. Quantomeno essi sono sicuri di allietare le giornate degli emigrati in ferie.
E’ pur vero che sicuramente in occasione dei festeggiamenti, confluiranno a Potenza numerosi abitanti dei Comuni della provincia, e ciò servirà a far parlare gli organizzatori del grande successo della manifestazione ma ci scommetto che, a parte gli stranieri ingaggiati per l’occasione, di turisti ce ne saranno veramente pochi.
Non solo ma, sinceramente, in un progetto culturale basato sul recupero dell’identità, suona veramente in modo stonato l’esaltazione della dominazione francese sul popolo potentino, così come risulta stridente la creazione di un Museo del Risorgimento che, quantunque dovesse realizzarsi, andrebbe ad aggiungersi ai tanti già esistenti.
Da Santarsiero e da Perri ci sarebbe stato da attendersi, invece, la realizzazione di un Museo delle Insorgenze, che rendesse omaggio al periodo del brigantaggio ed allo stesso cinespettacolo della Grancia, che pure rientra tra le motivazioni di finanziamento del bicentenario.
Ma, si sa, la cultura, spesso diviene compiacimento di sé, vuoto discutere, svago intellettualoide, consenso politico, affarismo griffato e l’arte acquista valore non tanto per il significato profondo che contiene, quanto piuttosto per la firma, ben visibile, del suo autore e del suo mentore.
Nel caso del bicentenario di Potenza, se di cultura si tratta, è cultura alquanto addomesticata, e non se ne abbiano i concittadini in buonafede, ma con 100.000 euro sarebbe stato possibile finanziare altre trecentocinquanta mensilità di famiglie escluse dalla graduatoria della cittadinanza solidale per mancanza di fondi. E poi, scusate, ma nel Paese delle feste di ogni genere, non sarebbe stato giusto consentire anche a tutti gli altri Comuni di festeggiare la loro ricorrenza, fosse pure quella dell’assedio all’albero di ciliegio nel giardino più in alto, ma comunque strettamente legata all’identità delle popolazioni di un territorio che, se continuerà ad essere trascurato, rimarrà sempre più spopolato.
Rimane, infine, un legittimo quesito-dubitativo: sono i festeggiamenti del bicentenario un pretesto? Oppure, il pretesto scaturisce dai festeggiamenti del bicentenario?
Risposta: con i tempi che corrono, trovatemi un cane che muove la coda per nulla!!
Gianmatteo del Brica

mercoledì, agosto 23, 2006

 

INFIERIRE!

Taccuino n. 17
Il dubbio rimane, eccome se rimane, sul proliferare di fiere e mostre-mercato. Sono utili o non servono a niente? A giudicare dall’accanimento con il quale Regione, Province, Comunità montane, Comuni, Enti pubblici, Associazioni, Università, Società miste, continuano a proporre appuntamenti economico-commerciali, turistico-promozionali, consumistico-pubblicitari, sembrerebbe che l’unica idea su cui concordano, tutti coloro che pure non esitano a litigare su qualsiasi cosa si prospetta sul versante dell’iniziativa istituzionale e politica, è proprio lo svolgimento di manifestazioni e di esposizioni di qualsiasi cosa, purchè ci sia un nastro da tagliare ed un convegno cui partecipare.
In effetti è propria questa la condizione indispensabile per patrocinare una fiera o una mostra. Non la bontà del programma espositivo e l’impatto che se ne può avere sul tessuto produttivo e sociale, ma la visibilità degli Assessori e dei Presidenti di turno.
E allora giù con mostre, fiere, mercati, esposizioni, sempre più numerose, in modo da accontentare tutti. Non importa quanto costano e quali effetti producano.
E bisogna dire che la fantasia non manca. Si va dalla sagra del “prodotto che non c’entra niente” alla esposizione delle portentose mammelle lattifere bovine, alla sfilata dei corpi magistralmente modellati da attrezzi e prodotti miracolosi per le moderne vanità, alla mostra dei Comuni parcheggiati “sotto la finestra” del Governatore, alla pronta replica negli spazi delle strisce bianche del piazzale dell’Università, alle fiere campionarie di “quelli che non vogliono essere da meno” nell’aviglianese e nel vulture, e così via.
Ce n’è per tutti, fiere e mostre, buone per promuovere l’immagine dei rappresentanti di tutte le istituzioni e di tutti i partiti. Dal Presidente della Regione all’Assessore del Comune di “Chissà se la strada non franerà”. Solo il Sindaco di Potenza, forte, prima, del redditizio marchingegno del polo della cultura e, ora, del consolidato effetto dei festeggiamenti del Patrono e della leggenda “orientale”, può permettersi di snobbare queste discutibili e, spesso, estemporanee iniziative. Ultimamente, ci si è avvicinati allo stupefacente. Non si era mai visto! Addirittura due in una. La fiera campionaria del Basento e la Borsa del Turismo Enogastronomico dell’Appennino, contemporaneamente, nello stesso spazio, ad intensificare l’offerta delle iniziative organizzate per migliorare la qualità della vita dei cittadini lucani o, almeno questo è sicuro, a spendere risorse pubbliche di nessun beneficio per imprenditori e visitatori.
Infatti, vabbè che oramai tutto è finzione e perfino la realtà è spettacolo ma, oggettivamente, risulta poco comprensibile una fiera campionaria lucana in cui sono protagonisti beni e servizi di provenienza tutt’altro che locale. Dai merletti veneziani e fiorentini ai pesci, roditori ed uccelli esotici. Per non dire della tipologia di prodotti, che poco o nulla hanno a che fare con la nostra agricoltura ed il nostro artigianato. La scopa lavasciuga, i cannoli siciliani, la nuova padella romagnola antigrasso ed antifumo, il miele campano, il materasso che fa perdere peso, la salsiccia calabrese, la macchinetta per la depilazione indolore, l’ufo volante radiocomandato, il campionario di fiori finti, la macchina per il vapore del buonumore. E alla fine sono proprio questi i prodotti che la folla vociante e speranzosa, memorizza ed acquista, e non l’originale attrezzo dell’artigianato lucano o il prodotto tipico delle nostre montagne. Io stesso, lo confesso, sono stato veramente tentato di portare a casa l’ammiccante “scopa ricaricabile” che funziona sempre e che, se non altro, induce a connessioni riflessive piacevolmente rassicuranti.
E la promozione delle specialità lucane? Quanto ha speso la Provincia di Matera per uno spazio espositivo che non è stato neanche allestito? E la Regione Basilicata, per distribuire il suo patinato book della fiera del precedente anno? E lo stand della provincia di Potenza dove si vendono e assaggiano solo prodotti della zona di origine dell’Assessore? Cifre, sicuramente ragguardevoli, se rapportate allo stato di povertà in cui versa oltre un quarto delle famiglie lucane, e che alla fine dell’anno suonano come un odioso sberleffo per i tanti sfortunati che devono sperare nella concessione di quei pochi euro elemosinati dalla Regione attraverso il “furbo” provvedimento della cittadinanza solidale.
Ed allora è forse giunta l’ora che ai Presidenti ed agli Assessori che fino a mezz’ora prima, nel canonico convegno di inaugurazione della fiera di stagione, hanno pontificato e snocciolato concetti socio-economici sulle virtù della loro politica di valorizzazione delle risorse locali, qualcuno faccia presente che gli interventi che servono sono quelli in grado di migliorare veramente la situazione, di dare slancio all’economia lucana, di offrire opportunità di lavoro ai giovani, di sentirsi “fieri” ad essere lucani e non “fiere” (bestie) ingabbiate ed intrappolate. Purtroppo, con queste “fiere-vetrine” del potere politico imperante, si continua ad “infierire” sulla popolazione lucana, costretta a cercare scampo, chissà dove, per sfuggire a tempeste e temporali di ogni tipo. Come il fosco vento dell’Inferno dantesco che: “li rami schianta, abbatte e porta fori; dinanzi polveroso va superbo, e fa fuggir le fiere e li pastori”.
Gianmatteo del Brica

venerdì, agosto 18, 2006

 

FALLIMENTI

Taccuino n. 16
Centotreanni fa fu costituito il Consorzio agrario di Potenza. Ne furono promotori alcuni benemeriti personaggi come Giovanni Salerno, primo direttore della particolare cooperativa, Fabrizio Laviano e Francesco Padula, importanti proprietari terrieri di quei tempi.
Un secolo dopo, nell’anno duemila, a seguito della legge di riforma, il Consorzio agrario della Lucania è stato trasformato in una società cooperativa ordinaria a responsabilità limitata ed ha esteso la sua competenza territoriale, formando un’azienda unica con il Consorzio agrario provinciale di Taranto, con lo scopo di contribuire a migliorare ed incrementare la produzione agricola, perseguendo l’interesse degli agricoltori.
Sarebbe difficile fare il conto di quanti finanziamenti pubblici sono stati utilizzati per il perseguimento di una finalità che, alla luce degli avvenimenti, va considerata più come un pretesto che come un reale obiettivo. Da sempre, infatti, il Consorzio agrario è stato uno dei principali collettori degli interessi politici prevalenti. Ora che ciò non è più possibile, rimane soltanto quale emblema di una società che continua a scontare le conseguenze di un improbabile equilibrio tra finzione ed illusione.
Nei giorni scorsi, il Tribunale di Potenza ne ha dichiarato il fallimento e così, anche una delle più antiche strutture economiche regionali, è fallita. Tutto sommato, senza colpo ferire e senza colpi di scena particolari, nonostante si trattasse di una delle principali organizzazioni di servizio per il mondo agricolo e con la sua chiusura venisse meno l’occupazione per circa un centinaio di lavoratori.
Pochi sussulti, quasi ordinaria amministrazione dalle nostre parti, dove, in tema di fallimenti, esiste un nutrito albo d’oro. Tutta la storia della Basilicata, successiva al conflitto mondiale, è contrassegnata di fallimenti. Dal polo della chimica, a quello delle strutture agroindustriali, a quello dell’industrializzazione post-terremoto, fino ai più recenti insediamenti turistici. Con la sola legge 219, nelle otto aree industriali della provincia di Potenza, non sono state avviate o sono fallite, ben quaranta industrie su novantanove, con una riduzione della occupazione prevista di circa il cinquanta per cento. Ma più in generale, nel corso degli ultimi anni, in Basilicata si sono verificati ben 1.721 fallimenti di imprese, con un incremento del 3,1%. I fallimenti da noi sono una costante, un tributo fisso e forse di più: un rito! Anche nel caso del fallimento del Consorzio agrario, il rito è stato consumato per intero e si è dato corso alla sceneggiata che contempla un preciso gioco delle parti, fatto di puntuali pubbliche richieste di aiuto, da parte dei sindacati e degli amministratori delle strutture in difficoltà, e di altrettante puntuali pubbliche dichiarazioni di solidarietà, da parte dei responsabili politici e delle autorità istituzionali. Risultato: nulla succede e chi ne paga le conseguenze sono solo coloro che dovrebbero essere i beneficiari di strutture e provvedimenti presentati come il toccasana di antichi problemi.
Vien da chiedersi, allora, e i sindacati cosa fanno e a cosa servono? Recitano? A tale, legittimo quesito, bisognerà dedicare uno specifico spazio di approfondimento, ma è certo che, quasi sempre, i sindacati svolgono più una funzione di asservimento politico che di difesa dei diritti e degli interessi dei lavoratori. Solo nell’anno 2005 sono fallite, in Basilicata, 73 imprese e ben 461 aziende hanno fatto ricorso al procedimento di messa in liquidazione, senza che si attivasse alcunché per frenare e cercare di eliminare il preoccupante fenomeno; come dire, tanto peggio, tanto meglio. Ma un’altra spiegazione forse c’è ed è collegata alla capacità unica dei nostri governanti di esorcizzare ed edulcorare anche gli aspetti più negativi della nostra realtà, fino al punto da farli accettare o, addirittura, scomparire. In tal modo, i fallimenti non sono più una iattura ma, semplicemente, non esistono! Né in politica, né in economia e neanche sul piano dell’operato socio-economico. Basta soltanto credere e far credere che essi non sono altro che la naturale controprova di un percorso che porta ad un grande traguardo futuro. Pertanto, le difficoltà diventano utili sfide, l’aumento della povertà costituisce un’importante occasione di riflessione, i fallimenti rappresentano l’indispensabile sfalcio di piante per concimare il terreno su cui far crescere rigogliose piantagioni. E chi dice il contrario criticando l’inerzia, l’incapacità di governo, lo scempio di risorse, non è altro che un pericoloso individuo fuori dal coro, da ridurre alla ragione, con tutta la cattiveria del branco ed anche con le bastonate dei pastori dei palazzi.
Il fatto curioso è che non ne sono risparmiati neanche i servitori di un tempo, come quelli del Consorzio agrario, non più buoni per svolgere le antiche funzioni di collateralismo politico, oggi passate nelle mani di sindacati ed associazioni. Oramai quella strada era divenuta troppo complicata e farraginosa ed è stata man mano sostituita con la gestione diretta di incarichi e concorsi pubblici, con il proliferare degli staff e dei consulenti, con l’addomesticamento di enti, comitati, centri di servizio, società di scopo, strutture varie, attraverso cui è stato disegnato un nuovo ordine sociale ed economico, assai più funzionale per ripartire la torta tra commensali molto più numerosi e diversificati che nel passato.
Se poi tutto ciò passa per il fallimento di società ed imprese che non sono più utili alla mission della politica lucana, poco importa. Solo i pessimisti confondono le opportunità con le difficoltà.
Ma è anche vero che solo gli onesti e i sapienti, oltre agli errori ed ai fallimenti, non dimenticano ciò che devono fare!

Gianmatteo del Brica

 

FATE DI MENO!

Taccuino n. 15
Dopo averle sperimentate tutte, forse l’unica implorazione che rimane da fare a quanti rivestono responsabilità di governo, è quella di pregarli di fare di meno se vogliono fare qualcosa di più!
Sono almeno tre lustri che ascoltiamo proclami di progetti e programmi, attraverso i quali, le sorti di questa sfortunata terra lucana avrebbero dovuto tingersi di rosa. Macchè, i dati dell’Unioncamere, presentati alla giornata dell’economia, sono impietosi per la Basilicata e perfino un volpone di lungo corso come il presidente dell’Ente camerale, l’ineffabile Pasquale Lamorte, non ha potuto fare a meno di bacchettare i governanti regionali e tutti coloro con cui, suo malgrado, ha dovuto pudicamente accomunarsi e sintonizzarsi politicamente negli ultimi anni. A partire da Bubbico, per finire a De Filippo. Sbaglia chi ritiene che la Presidenza della Camera di Commercio sia stata una soluzione di seconda linea per Lamorte che, invece, ha deliberatamente scelto di non fare politica attiva, nel momento stesso in cui la politica è stata mortificata e trasformata in un campo di battaglia senza regole. I feriti, oramai non si contano più, in uno schieramento e nell’altro. E la cosa curiosa è che nessuno, finora, è rimasto sul campo colpito dal nemico, ma tutti sono stati fatti fuori dal fuoco amico, il più pericoloso, perché inaspettato e subdolo e perché proveniente dai santoni della nobile arte politica, coloro, cioè, che dovevano essere gli sceriffi e non i banditi. Poco si può fare, purtroppo, quando i cecchini non sono i combattenti frontali, ma quelli che pugnalano alle spalle affinché non venga scalfito il disegno egemonico di assalto alla dirigenza. Finora ne hanno pagato le conseguenze Gianfranco Blasi, Dino Collazzo, Angelo Dinardo, Peppino Molinari, Michele Radice, e tanti altri ma, soprattutto, continua a scontarne le pene la popolazione lucana, che è stata progressivamente abbandonata a se stessa, tradita e violentata, ridotta alla povertà e costretta a prostituirsi. Quante penetrazioni per l’incasso di royalties, che solo in piccola parte rimangono nella borsetta della nostra sinuosa terra! Di giorno e di notte, fino a quando le viscere non saranno più buone per procurare alcun beneficio agli sfruttatori senza scrupolo e coscienza.
Non era forse meglio mantenersi illibata fino a quando un vero principe azzurro fosse stato capace di raccogliere ed esaltare le fattezze e le bontà di un territorio e di una storia che non hanno eguali? Ma certo! Perché alla luce dei risultati ottenuti e messi a nudo dal rapporto di Unioncamere, non c’è dubbio alcuno, che il generoso donarsi della Basilicata ai suoi “prodi” si è rivelato come un inutile slancio, che non è servito proprio a niente, neanche a qualche piccola consolazione sul versante degli orpelli che possono essere ostentati. Come, ad esempio, un aeroporto, una vera ferrovia, un casinò. Niente, nemmeno uno zoo! Quasi quasi valeva la pena di tenersi il deposito di scorie radioattive, accettando senza protestare, l’iniziale orientamento della giunta regionale sul quesito ministeriale. Chissà, forse qualche risultato l’avrebbe prodotto, quantomeno in termini di attenzione per evitare qualsiasi pericolo all’intero paese.
Invece, la cruda realtà è quella di una regione il cui gran daffarsi degli uomini con a capo Boccia, Bubbico, De Filippo, Carelli, Nigro, Santarsiero, Altobello, ha prodotto solo ingiustizie, uso distorto di ingenti masse finanziarie, arretramento economico e sociale. La Basilicata del 2005 è giunta al traguardo della “crescita zero”, con un Pil addirittura negativo (-0,1%). Anche tutti gli altri indicatori sono di segno negativo: spesa per consumi delle famiglie (-0,6%); export (-18%); occupazione (- 3mila posti di lavoro); mortalità aziendale (6% di cancellazioni). Nessuna altra regione italiana è stata ridotta così all’osso e voracemente spolpata, tanto da dover assimilare l’azione dei nostri governanti a quella dei famosi pesciolini piraña, che nulla fanno rimanere di ciò che hanno a portata di denti. Nel caso specifico, acqua, petrolio, enti e strutture di servizio, appalti, concorsi, ospedali, strade, fondi statali ed europei, insomma, di tutto e di più. Perciò, non è fuori luogo l’implorazione che vi rivolgiamo, cari nostri governanti: d’ora in avanti cercate di fare di meno e di contenervi nella vostra azione. In questo modo finalmente avrete fatto qualcosa di più per i vostri concittadini, che potranno quantomeno sperare di raccogliere qualche briciola per le loro esigenze.
Fate meno summit, perché ogni volta vi spartite qualche ente e qualche poltrona.
Fate meno concorsi, perché si sa già che i raccomandati sono vostri parenti e amici.
Fate meno enti, perché sono inutili e costano troppo.
Fate meno dirigenti superpagati e meno incarichi ad personam.
Fate meno bandi, perché sono destinati sempre ai soliti.
Fate meno convegni, fiere e manifestazioni, perché servono solo per viaggiare e fare propaganda spicciola.
Fate meno leggi, perché quasi sempre sono ingiuste ed antidemocratiche.
Infine, se fosse possibile, fate anche meno elezioni, perché tanto il regime già c’è e, quantomeno, si eviterebbero i soliti ricatti, le minacce più o meno velate, le legnate e le bastonate per chi non ubbidisce.
Rimane un’unica preoccupazione. Purtroppo con ben tre sottosegretari, la situazione è destinata a peggiorare, perché ognuno di essi qualcosa la vorrà pur fare. A danno di chi? Siccome non sono stupidi, non a danno proprio e dei loro amici. Di tutti gli altri sì! Allora, per favore, anche voi, fate il meno possibile!

Gianmatteo del Brica

giovedì, agosto 17, 2006

 

PARADOSSI

Taccuino n. 14
Anno 2036. Molte società costituite all’inizio del millennio sono giunte a scadenza. La Basilicata come entità istituzionale-geografica non esiste più e rientra nel mandamento del Basso-Vendo (così chiamato in omaggio a Bassolino e Vendola, che per primi, in qualità di governatori regionali, aprirono la strada per la costituzione di quello che sarebbe diventato il più rigido sistema di governo del terzo millennio: quello dei “Mutanti”). Già, perché oramai è chiaro che gli iniziali conquistatori del potere, non erano veramente ex comunisti e neanche ex democristiani ed ex socialisti, ma soltanto famelici esseri di un altro pianeta, presentatisi alle popolazioni nostrane sotto mentite spoglie.
Se fosse stato un ex comunista, D’Alema, mai si sarebbe sognato di mettere in atto un piano di conquista del Ministero adocchiato, attraverso l’esclusione dal governo del suo segretario Fassino. Altro che passo indietro dalla candidatura a Presidente della Repubblica; quella era semplicemente una diabolica mossa tattica per spianarsi la strada ministeriale a danno degli altri suoi compagni di partito.
Se fosse stato ex democristiano, Prodi, mai si sarebbe sognato di fare patti non concordati o in disaccordo con la Chiesa, come quello sulle unioni omosessuali.
Se fosse stato ex socialista, Bobo Craxi, mai si sarebbe appattato con i giustizieri di suo padre, mistificando e mortificando la bandiera del riformismo.
“Mutanti”, fautori di un mondo reale dominato dall'intolleranza, dall'avidità e dalla sopraffazione, dove ognuno sparla dell'altro e dove le parole “amicizia” ed “onestà” hanno perso del tutto il loro significato. Ecco cos’erano veramente gli interpreti dell’indecifrabile scena politica di inizio secolo. Non se n’era accorto Berlusconi, ma non se n’erano accorti neanche i nostri piccoli soldatini di provincia, puniti dalla loro stessa furbizia di basso cabotaggio.
Al governo della regione periferica del mandamento del Basso-Vendo non ci sono, infatti, gli eredi di Bubbico e De Filippo, ma un sofisticato elaboratore post-elettronico, consultabile collegandosi con il proprio chip cerebrosensibile, al decoder 40-38-0-&-15-48-0. Esso è denominato “S.V.”, che non sta più per “signoria vostra” ma per “sottosuolo vuoto”. E se ne capisce la ragione, oggi che risulta chiaro l’ordine mondiale strategicamente disegnato a quella epoca. Con il mondo arabo destinato all’autodistruzione, il più grande giacimento di petrolio mondiale risultava esattamente quello della Basilicata. Una realtà già abituata dalla storia ad essere maltrattata e sottomessa, e quindi a basso gradiente conflittuale. Occorreva soltanto precostituire le condizioni per rendere innocua la sua popolazione. Fu così, che con il facile addomesticamento di Sindaci, Presidenti, Dirigenti e Segretari di allora, si diede vita al progressivo impoverimento e spopolamento di quel territorio per farlo diventare un parco recintato e rigidamente controllato: il parco delle ferite. Quelle della natura e quelle della società. Niente più turisti alla scoperta di luoghi incontaminati, niente più ricettacolo di prodotti agroalimentari di qualità, niente più testimonianze di una cultura antica e di sapienti tradizioni. All’interno del parco, soltanto sofisticate apparecchiature per l’estrazione del petrolio e piccole riserve antropologiche destinate ad allietare i soggiorni estivi dei comandanti mutanti. Non di rado, ad esempio, nel bosco della Grancia, capita di vedere gli X-Men a capo del regime, dal Romano “Professor X” al Massimo “Colosso”, sollazzarsi allo spettacolo della Storia bandita, interpretata dai vari Boccia, Bubbico, De Filippo, Nigro, Altobello, Fierro, Folino, Santarsiero, condannati a svolgere in eterno il ruolo di figuranti senza voce in capitolo. Figuriamoci tutti gli altri! Soltanto Rocco Colangelo, non si sa come e perché, ancora una volta, risulta scampato al triste destino, collocandosi come ampia testa a guardia dei suoi ex colleghi. Tutto il resto del vecchio esercito di cartone è stato annichilito, vittima della propria inconsistenza e del madornale peccato di barattare il grande patrimonio di risorse territoriali e culturali in cambio di improbabili tornaconti. E così, la Basilicata è stata depredata, la Basilicata è stata occupata. Tuttavia, resiste, negli angusti spazi della fredda e cinica politica diffusa dai mutanti, un irriducibile drappello di briganti fautori dell’idea del recupero dell’identità e di una sana idealità politica. Sono loro l’ultimo baluardo alla definitiva resa di una terra che possiede le ricchezze sufficienti, a partire dal petrolio, per garantire agiatezza e benessere alle future generazioni che la abiteranno dopo la sconfitta dei mutanti. Così sarà rimosso l’odioso paradosso del peccato che per tanto tempo i lucani hanno dovuto scontare, pagando a caro prezzo quella benzina di cui è fornito il generoso sottosuolo regionale. E così, sarà anche smentita la storiella del petrolio che non ha creato benessere perché porta sfiga. Altroché, la vera sfiga, egregie “signorie vostre” che avete inutilmente posato le vostre terga sugli scranni del comando, è che proprio qui doveva crescere il cavolo sotto il quale siete nati?
Gianmatteo del Brica

mercoledì, agosto 16, 2006

 

PATTI E MISFATTI

Taccuino n. 13
Una leggera sofferenza stampata sul viso; il tono grave di voce che si conviene per gli annunci di topica importanza; il look grigio-blu convenzionalmente rassicurante. Ecco, la scena del rito è bella e fatta. Non si tratta del fatidico sì, che suggella la promessa matrimoniale, ma pur sempre di un impegno gravoso. Quello dei “patti”. A non finire e di ogni natura. E chi la fa da padrone, ovviamente, sono i partiti, soprattutto in tempi come questi quando, per parafrasare Gigi Marzullo, una elezione è appena finita e una nuova consultazione è appena incominciata. Ma non sono da meno i sindacati. Nessuno, però, che abbia senso e cognizione piena della responsabilità che vanno ad assumersi. Il significato più vero di un patto è infatti, quello di una promessa impegnativa, di una dichiarazione resa davanti a testimoni, insomma, di una specie di testamento.
Esattamente il contrario dell’uso spregiudicato e disinvolto che hanno fatto, partiti, associazioni e sindacati, dei vari patti annunciati negli ultimi tempi. Basta rammentare le tappe che hanno contrassegnato i principali avvenimenti di rilevanza politica, economica e sociale in Basilicata. Già nel mese di giugno del duemila, con la relazione programmatica di insediamento della nuova giunta regionale, l’allora Presidente, oggi neo senatore Filippo Bubbico annunciava il suo “Patto di Governo e di Sviluppo per la Basilicata che cresce”. Niente di più falso: la Basilicata non solo non è cresciuta, ma è arretrata, e di sviluppo neanche a parlarne, tanto è vero che il suo successore Vito De Filippo, ha dovuto cercare di correre ai ripari con la cosiddetta legge sulla povertà, così come è stato definito il provvedimento sulla cittadinanza solidale. Ma a sua volta, anche il nuovo Governatore regionale non ha saputo resistere alla tentazione di un’altra promessa, quella del “Patto per il futuro”. Che mai sarà ? Può darsi una nuova task force di maghi, cartomanti e chiaroveggenti, sperando solo che non sia dello stampo di Vanna Marchi e del mago Do Nascimiento. Non mancano, però, altri giuramenti solenni, come il “Patto d’onore” del consigliere regionale di Forza Italia, Sergio Lapenna, il “Patto di fiducia con i lucani, del Presidente della Provincia di Potenza, Sabino Altobello, il “Patto delle tre G” di Maria Antezza, all’interno del quale non sappiamo se c’è anche l’impegno per garantire l’individuazione del fatidico “punto G” che, quello sì, potrebbe addurre piacevoli sensazioni ai nostri concittadini. Anche la Margherita, senza alcuno sforzo di fantasia, ha riproposto una variante del “Patto delle tre G”; a questo punto vuoi vedere che, abituati come sono, a fregarsi tra di loro, si rubano perfino gli slogan. Staremo a vedere, ma in questo campo, i primi della classe non potevano essere che i diessini, con il “Patto di fiducia”, il “Patto per l’innovazione del welfare”, il “Patto per l’Italia nuova”, il “Patto tra i sessi e le generazioni”, il “Patto dei diritti e doveri con gli immigrati”, perfino il “Patto tra uomo e natura”, per il quale, sinceramente, non si capisce bene come faranno terra, acqua ed aria, ad accettarlo e sot toscriverlo. E’ fondato, pertanto, il dubbio, che questi patti siano né più né meno che delle formulette senza costrutto, teorizzate da proponenti poco credibili e da interlocutori ignari. Per conto di chi e per che cosa, infatti, se non per l’esclusiva propensione all’autoconservazione, la Cgil propone il “Patto per la Basilicata” (mah! e per chi, sennò), la Cisl, il “Patto per uscire dalla crisi” (perché, si può pensare anche ad uno per entrarci?), la Uil, il “Patto di unità regionale” (finalmente la Basilucania!), la Cia, il “Patto con la società” (ma come, gli agricoltori sono una entità extrasociale?). Il Wwf , addirittura, ha stipulato il “Patto sui fiumi” e su quest’onda, sicuramente qualcun altro avrà pensato a quello sui ruscelli e sui rivoli d’acqua.
In tutto questo fioccare di promesse, giuramenti e patti, nessuno dice però, cosa succede nel caso di mancato rispetto degli impegni assunti: ad esempio se i partiti si autoescluderanno dalle successive elezioni e se le associazioni ed i sindacati risarciranno quantomeno il costo della tessera sindacale o associativa. Niente, silenzio assoluto, a conferma di una dottrina della doppiezza che, oramai, tranne sporadici ed isolati casi, è fatta propria dalla generalità dei politici e dei sindacalisti. Sarebbe opportuno, perciò, che per il futuro possano essere annunciati soltanto i “patti” sottoscritti con atto notarile, in modo da ridurne almeno la “cavallettara” proliferazione e la conseguente, sicura, buggeratura dei cittadini. Basta pensare che il “Patto della pizza” avrebbe dovuto far risparmiare gli avventori dei locali ove si gusta la nota pietanza di origine partenopea mentre, invece, si è rivelata una vera “bufala” a danno dei consumatori che, a fronte di un costo totale di una pizza di appena 1,65 euro, hanno dovuto sborsare almeno 7,5 euro. Dunque, non Patti ma Misfatti, sapientemente diretti ed orchestrati. Adesso manca solo il “Patto della mortadella” che, tutti sanno, come la tagli tagli sempre mortadella rimane. Cioè, bonacciona, ma, allo stesso tempo, grassa, viscida, indigesta. Proprio come chi, pur di arrivare al potere, non ha esitato a fare il “patto con i diavoletti”.

Gianmatteo del Brica

martedì, agosto 15, 2006

 

GRAZIE, PERCHE?

Taccuino n. 12
Thanks, merci, gracias, danke, obrigado. Grazie in tutte le lingue. E’ vero, il messaggio di ringraziamento che meglio rappresenta quanto è capitato alle elezioni, è proprio quello dell’Unione rivolto agli italiani all’estero. E’ grazie a loro, infatti, che i contendenti di Berlusconi hanno potuto racimolare una striminzita vittoria alle ultime elezioni.
Anche le nostre città sono imbrattate, nei posti più incredibili, da migliaia di manifesti dei principali partiti, con la sola scritta, Grazie! Ma grazie, perchè? Per quale favore ricevuto? Secondo logica, non per il voto, perché ognuno, quando ha votato lo ha fatto con l’intento di creare le condizioni migliori per se stesso e per la propria comunità. E poi, scusate, partiti e candidati, onorevoli e senatori, non avevate affermato che quella che si stava conducendo era una battaglia di civiltà e di progresso a favore del popolo italiano? Se era veramente così, allora, dovevano essere proprio quelli che vi hanno votato, e non viceversa, a farvi giungere i loro ringraziamenti, per esservi messi a disposizione di una nobile causa che ha richiesto e richiederà coraggio e sacrificio. Altroché! La verità è che questi ringraziamenti sono fuori luogo ed inopportuni per molti motivi. Innanzitutto, perché con questo tipo di legge, senza preferenze e con il risultato già scontato in base all’ordine di posizione nella lista, nessun merito particolare può essere attribuito a coloro che sono stati eletti; spesso mogli, fratelli, cugini e affini, come ben sanno Fassino, Bassolino, Mastella, Pecoraro Scanio e molti altri boss della politica. In secondo luogo, perché si tratta di un esempio di inciviltà perpretato proprio da coloro che sono stati appena chiamati a rappresentare la legge e il popolo. Purtroppo, l’affissione indiscriminata ed abusiva, senza pagare neanche i diritti di affissione avviene, puntualmente, tra l’indifferenza se non addirittura la tolleranza delle Istituzioni che, ancora una volta, dimostrano di essere al servizio del potere e non del bene comune.
Che poi si mettano ad imbrattare i muri perfino i partiti dei Verdi e dei Comunisti Italiani, sinceramente, suona come una stridente contraddizione per la coppia Pecoraro Scanio-Diliberto, tanto brava a spargere anatemi contro chicchessia possa essere sospettato di attentare all’ambiente ed al rispetto della legalità, quanto irrispettosa di ogni regola civile e democratica quando tocca a loro dare il buon esempio. Morale: non sono diversi dagli altri, ma solo più falsi e furbi. E pensandoci bene, non c’è che dire, i governanti di oggi sono veramente molto più furbi di quelli di una volta. Infatti, oggi, ad elezione avvenuta, essi se la cavano soltanto con l’affissione, finanche illegale, dei manifesti di ringraziamento. Una volta, invece, era doveroso ringraziare l’elettorato con grandi feste, per l’intera cittadinanza, organizzate a spese di coloro che erano stati eletti. E così, quanto meno, gli elettori almeno un piccolo riscontro lo ottenevano immediatamente dai candidati eletti al Parlamento: una bella pasta e fagioli, con dell’ottimo soffritto e fiumi di vino ad inebriare lo spirito di vinti e vincitori.
Adesso, purtroppo, con questa deprecabile trovata dei manifesti di ringraziamento, neanche più un panino con la scapece ed una mezza birra e gazzosa, ma soltanto un freddo messaggio incollato ai muri, a conferma del profondo distacco che orami esiste tra la politica e la gente. Ma può bastare il messaggio di un manifesto, una specie di piaggeria tardo piccolo borghese che dietro la parvenza di buona educazione nasconde tanta superficialità e soverchia arroganza? E’ difficile crederci. E’ ben altro ciò che ci si aspetta da Boccia, Viceconte e tutti i parlamentari, i quali sbagliano, se pensano che basta il Grazie sui manifesti per garantirsi la benevolenza del popolo lucano; ciò che si chiede, invece, è innanzitutto l’impegno e la capacità di ben rappresentare e tutelare gli interessi dei cittadini. Non sempre si può approfittare della confusione che regna nel quadro politico ed istituzionale e nessuno può escludere, che alla prossima tornata, si possa reagire proprio come fece Diogene con Alessandro Magno che gli domandava se poteva fare qualcosa per lui: “Si, puoi fare qualcosa per me. Scansati che mi fai ombra.". Vuoi vedere che alla fine ha vinto proprio chi ha perso?
Gianmatteo del Brica

lunedì, agosto 14, 2006

 

LE MAGIE

Taccuino n. 11
I maghi esistono ancora, eccome, se esistono! In Basilicata, ci sono almeno 150 maghi, cui si rivolgono circa diecimila persone all’anno, per un giro di affari di cinque milioni di euro. Ad essi ne vanno aggiunti più o meno un altro terzo, cioè i principali esponenti politici ed istituzionali a livello regionale che, oramai, soltanto attraverso le loro doti di prestigiatori ed illusionisti, possono giustificare le responsabilità che ricoprono.
Diversamente, la realtà sarebbe ben diversa da quella che ci ritroviamo. Emilia Romagna, Lazio, Calabria, Piemonte e Toscana sono nell’ordine, secondo una recente ricerca dell’Agenzia Europea Investimenti e dell’Ocse, che hanno preso a riferimento gli statuti delle regioni ed il loro grado di apertura, l’internazionalizzazione, la trasparenza, l’efficacia e la partecipazione della società civile, le prime cinque regioni in Italia per “buon governo”. Ben posizionate in classifica risultano anche Umbria, Puglia, Campania, Marche, Abruzzo e Liguria. E la Basilicata? Come sempre tra le ultime, sempre più indietro, ma sempre sotto il controllo di coloro che riescono ad esercitare la loro magia, intesa come controllo delle risorse e dei gangli fondamentali della società.
Però che tristezza questi maghi di oggi, neanche un effetto speciale, un lampo di genio, un sussulto stuzzicante; niente, soltanto la routine quotidiana di quei piccoli trucchi utili a tener buona la gente. Ogni giorno se ne sente una: un pacchetto di convenzioni e incarichi, una delibera ad arte, un concorso ad hoc, un contributo ad una categoria, un patrocinio ad un evento, una nomina in consiglio di amministrazione, insomma, soldi spesi male ed in modo clientelare ed improduttivo. In fondo, questi sono i maghi nostrani, figli di un asfissiante sistema di potere, piuttosto che espressione di una effettiva capacità taumaturgica o di una comprovata abilità artistica. D’altronde i maghi, o posseggono veramente poteri paranormali, e in tal caso la Basilicata sarebbe una delle regioni più ricche e sviluppate, oppure devono servirsi della tecnica psicologica definita del “cold reading”, necessaria per trasformare gli interlocutori in buoni clienti o fedeli elettori.
Ma come fanno, si dirà, puntualmente a cascarci i cittadini lucani? Nessun mistero. E’ da tutti risaputo, infatti, che di solito, va dal mago o dalla cartomante chi ha bisogno, o peggio ancora, chi soffre per gravi motivi: in sostanza, gran parte delle famiglie lucane che, per generazioni, non hanno avuto altra possibilità che pregare i santi o sperare nell’artifizio di maghi e imbonitori. Dopo le ultime elezioni c’è, però, qualche novità. Infatti, se finora, le donne erano state considerate soltanto delle streghe e, come tali, escluse dalla giostra del divertimento, dopo il dieci aprile, anch’esse sono state aggregate alla carovana dei prestigiatori. Nella dimensione più ampia possibile, in modo da estendere l’influenza politica lucana sull’intera penisola: dalla città di Palermo ai territori Lombardi. Una specie di rifondazione della rappresentazione abituale, resa forse necessaria dalle magre figure che in questi anni hanno collezionato i vari maghi Casanova, con i loro assurdi e fallimentari giochi di prestigio. Neanche i maghi Merlino, in Basilicata, hanno ottenuto risultati migliori. La loro bonomia è stata utilizzata dai rifondatori per costruirsi le postazioni indispensabili per l’arrampicata al potere. Però, finora, nessuno è riuscito ad estrarre la spada dalla roccia e ad essere incoronato come sovrano del popolo lucano. E in mancanza di un valido Semola-Artù, non ci resta, pertanto, che affidarci alle figure emergenti delle novelle Circe e Medea. Con l’avvertenza della prudenza consigliata da chi, come il sottoscritto o come il gufo Anacleto, ne ha viste tante in fatto di magia e vi suggerisce, nell’interlocuzione con le maghe, di non parlare loro dei vostri fatti, perché qualsiasi informazione può essere usata contro di voi; di farvi mettere per iscritto ciò che dicono di garantire; di non dare retta ai loro discorsi e manifesti, perché si tratta di pubblicità ingannevole; di non firmare nulla, perché in nome della loro ideologia non guardano in faccia nessuno. Speriamo almeno che nel nuovo Parlamento, esse riescano a portare avanti qualche sortilegio a favore della Basilicata, magari tramutando, al pari della maga Circe, in bestie feroci i nemici della nostra terra, possibilmente senza compiere nessun delitto di odio o di gelosia, com’era adusa Medea.
Ci scommetto, però, che esse si preoccuperanno, invece, di tentare qualche sortilegio in nome dell’antiglobalizzazione, di nessuna utilità per le nostre imprese e per i nostri concittadini lucani che, come gli antichi marinai, rischiano di essere vittime delle Sirene, brave, con il loro canto, ad attrarre e procurare sventura.
Gianmatteo del Brica

domenica, agosto 13, 2006

 

PIZZINI ELETTORALI

Taccuino n. 10
La fantasia supera la realtà e, non di rado, coincide con essa. D’altronde la realtà non è necessariamente ciò che esiste, quanto, piuttosto, ciò che si percepisce. A volte, la fantasia porta a percepire cose che tutti pensano ma pochi dicono: in Basilicata esiste una “cupola” politica ed affaristica che, di volta in volta, decide il segno dell’esito elettorale e le sorti di personaggi, di primo e di secondo piano, che si avvicendano nella funzione di luogotenenti o di capimandamento.
E se finora mai se ne è avuto traccia, bisogna dedurre che essa utilizza mezzi e strumenti non usuali e di difficile intercettazione: i pizzini, appunto! Non i telefonini, non i fax, non le e-mail, ma i tradizionali bigliettini di carta, scritti e consegnati in mani sicure, per recapitarli ai diretti destinatari. Sarebbe curioso immaginare il contenuto dei pizzini riferiti alle assegnazioni degli appalti o alle graduatorie dei concorsi, ma è altrettanto divertente, soffermarsi su un immaginario epistolario elettorale, a base di foglietti arrotolati, tra il grande vecchio e i suoi discepoli.
Ma chi manda, e a chi, i pizzini in Basilicata? Proviamo a fantasticare! Il nostro Provenzano lo chiameremo “volatile del segno di pace”, lo zio che per similitudine dipingeremo come un arzillo vecchietto, con gli occhiali spessi, aduso ad una parca alimentazione e dall’incrollabile fede religiosa. Dal suo rifugio della sommità della collina partono gli ordini dei pizzini numerati. Solo i messaggeri sanno il nome che corrisponde ad ogni numero, ma noi li abbiamo decifrati con autentica arguzia: “n.1=AB-marpione di lungo corso”; “n.2=FB-l’uomo del monte”; “n.3=AL-compagno di merende”; “n.4=SM-salvadanaio pieno”; “n.5=VF-tiratore scelto”; “n.6=GM-la vittima sacrificale”; “n.7=AP-buono per tutte le stagioni”; “n.8=GF-bugiardo incallito”; “n.9=GV-servo del padrone”; “n.10=AS-il latitante al confine”.
Per dipanare ulteriormente la matassa, un grande aiuto ci sovviene sicuramente dalle sottolineature ritrovate sulla Bibbia Politica del grande vecchio. Riguardano il peccato e la salvezza, laddove si richiamano il peccato di fragilità dovuto alla debolezza umana ed il peccato di malizia commesso con la libera determinazione della volontà perversa. E’ per salvarsi da essi, che il grande vecchio, abbandona gli agi e la vita movimentata per svolgere la sola funzione di vigilanza sul mantenimento del sistema. Non più comizi e discorsi al popolo: “parlava come un Dio”, lo zio, ma solo indicazioni per cercare di mantenere il timone di una nave con troppi capitani a bordo. Tutti sono stati fatti ricchi con la rotta indicata dallo zio, quella delle concessioni per tutti, cooperative bianche e cooperative rosse, ex biancofiori, ex garofani, ex falce e martello, nuovi capimandamento della cosetta nostra. Nessuna forzatura violenta, ma solo equilibrio e convenienza, che si evince anche dal tenore sobrio dei pizzini decifrati.
Come quello indirizzato a n.5-VF, venerdì 3 marzo, nel quale, tra le righe si capta il messaggio essenziale: “Carissimo, ho ricevuto con gioia tue notizie (richiesta di intervento, n.d.r.). Sono molto contento di sapere che godete di ottima salute (accordo sulle candidature, n.d.r.). Lo stesso, grazie a Dio, posso dire di me. Per quanto riguarda quel nome che mi hai fatto sto cercando di mettere tutto a posto (trombatura di n.7-AP grazie al tradimento di n.8-GF, n.d.r.). Ti saluto e ti ringrazio e mi auguro che il nostro buon Dio ci guidi a opere di bene per tutti”.
L’esito delle elezioni ha puntualmente confermato l’impegno assunto dallo zio, oramai non più capo dei capi, ma regista di un gruppo di cosche che, anziché farsi la guerra tra di loro, hanno accettato di condividere e spartirsi la torta del potere e degli affari. Che non è poca cosa: più o meno 2-3.000 milioni di euro all’anno di cui i cittadini lucani sentiranno appena l’odore attraverso qualche piccolo contributo, loro elemosinato.
Si tratta di un copione già ampiamente sperimentato in Basilicata, con l’unica variante, che nella nuova rappresentazione, al fenomeno del “taninismo”, bisogna aggiungere anche quello del “taddesimo”. Con buona pace di tutti.
Gianmatteo del Brica

sabato, agosto 12, 2006

 

PECCATO

Taccuino n. 9
Peccato che sia finita! Se continuava, questa campagna elettorale, avremmo finalmente ottenuto tutto quanto finora era stato inutilmente reclamato: benessere e sviluppo, riduzione delle tasse, funzionamento della giustizia e della sanità, democrazia e libertà.
Peccato che sia finita! Se continuava, questa campagna elettorale ricca di bugie, forse avremmo potuto prendere coscienza per tempo, degli inganni attraverso i quali i capoccioni dei partiti si sono garantiti i loro privilegi.
Soprattutto, però, peccato, che la maggioranza delle persone non abbia saputo o potuto cogliere pienamente l’occasione delle elezioni, per mandare un segnale più deciso a governanti e politici sempre più cinici e distanti dai problemi veri della gente.
Dopo il “mattarellum” tanto criticato, essi, infatti, sono stati capaci di inventarsi il “porcellum”, cioè una legge elettorale ad uso e consumo dei vertici di partito, che solo così può essere definita, dopo che coloro stessi che l’hanno approvata, hanno dovuto ammettere che si trattava di una “porcata”.
Una volta, per molto meno, gli elettori, nel segreto dell’urna, avrebbero severamente punito gli autori di un inqualificabile scempio democratico come quello che si è consumato sulla testa dei cittadini lucani ed italiani che, anziché partecipare alla libera elezione dei propri rappresentanti in Parlamento, sono stati, praticamente, costretti ad esprimersi su una specie di referendum tra Prodi e Berlusconi e, in seconda battuta, tra Fassino e Fini, Rutelli e Casini, Bertinotti e Calderoli.
Solo queste facce abbiamo visto, in questa campagna elettorale, segno di una politica mediatica e verticistica, che non ha lasciato spazio a nulla di cui eravamo abituati: i manifesti dei nostri candidati locali, i comizi in tutti i paesi, la richiesta del voto da parte di candidati conosciuti ed a portata di tiro prima e dopo le elezioni. E se solo fino a poco tempo fa, la campagna elettorale serviva a conquistare il consenso attraverso i comizi, gli incontri, il contatto con la gente che, a sua volta, aveva la possibilità di stringere la mano, guardare negli occhi e di percepire e verificare l’impegno di chi si candidava, oggi, invece, la campagna elettorale serve più che altro a spingere il cittadino in uno spazio obbligato, senza vere alternative e senza alcun protagonismo, soprattutto per i giovani ai quali, purtroppo, per far politica, non resta altra scelta che sperare di diventare collaboratore o portaborse di uno dei capi. Niente più confronto, niente più sezioni di partito, solo fiumi di parole attraverso la fredda scatola televisiva per dare l’idea che si sta giocando una partita decisiva per il nostro futuro. Macchè! Solo spettacolo e messa in scena di un copione scritto nelle stanze della consociazione, per mantenere intatto il potere acquisito. Altro che ideologie di partito. Perfino i simboli delle forze politiche sono stati personalizzati con il nome dei rispettivi leader nazionali, sempre più primedonne bizzose e sempre meno interpreti del sentire popolare. La verità è che né Prodi e né Berlusconi possono risolvere i gravi problemi del nostro Paese e questa esperienza del bipolarismo furbo e approssimato, sperimentato dopo la prima repubblica, non solo è fallita, ma ci ha impoverito economicamente e culturalmente. L’Italia è la nazione dei tanti Comuni e delle innumerevoli risorse e non può essere ridotta a tenzone tra un imprenditore privato ed un imprenditore di Stato. Invece, ora più che mai l’Italia ha bisogno delle energie diffuse, dei saperi trascurati, delle libere intelligenze, per tirarsi fuori dal tunnel in cui è finita.
Nessuno può rivolere la prima repubblica ma è pure ora che nasca seriamente la seconda repubblica. E sotto sotto, vuoi vedere che è proprio questo il sottile segnale che il popolo italiano, con matematica precisione, ha voluto far giungere ai duellanti? In sostanza, ha detto la gente, veniamo a votare in massa, potete ottenere il pieno di consensi, ma rimarrete paralizzati dalla vostra stessa ingordigia. Il risultato inconfutabile scaturito dalle elezioni è, infatti, quello della ingovernabilità del Paese, frutto di una logica utilitaristica e verticistica dei due schieramenti, in virtù della quale ciò che conta è solo la ristretta cerchia di comando; tutto il resto è substrato. Ora, però, tocca a noi recuperare l’importanza del substrato: senza di esso nulla può crescere, neanche la più bella rosa, figuriamoci quella nel pugno.
Gianmatteo del Brica

venerdì, agosto 11, 2006

 

LA SINDROME

Taccuino n. 8
Tutte le sindromi indicano qualcosa che non funziona, che non va bene, uno stato morboso. Alcune sono veramente preoccupanti, mentre altre risultano perfino strane e bizzarre, come la sindrome del balcone o quella di carosello, il famoso siparietto pubblicitario che dava la buonanotte ai bambini.
Carosello è finito trenta anni fa, ma ancora oggi se ne avvertono gli effetti, quando assistiamo a forme di pubblicità che appaiono divertenti nella rappresentazione ma che, in sostanza, non esprimono grande attinenza con il prodotto di cui dovrebbero diffonderne il valore e la qualità.
In questi tempi di campagna elettorale, non sono mancati i siparietti, di volta in volta, messi in atto dal centrodestra, dal centrosinistra e dal terzo polo. A differenza di carosello, però, essi si sono rivelati quasi sempre scontati e noiosi, a conferma di una politica che dimostra di essere sempre più malata e di aver perso lo smalto dei tempi migliori, quando essa rappresentava impegno civile e passione ideologica.
La prevalenza odierna, invece, è quella dell’affare e dell’interesse personale che, con cinismo e spudoratezza, vengono perseguiti dai ristretti gruppi dominanti degli schieramenti politici che, man mano, si sono costruiti un diabolico sistema di controllo e di sopraffazione antidemocratico della popolazione. Le stesse leggi, a partire da quella elettorale, con una sfacciataggine senza precedenti nella storia italica, sono state piegate alla tutela esclusiva dei privilegi di una oligarchia politica, arrogante e vessatoria che, dopo gli amici fidati, si è portata in Parlamento anche le mogli e i fratelli. Così, la gente comune è diventata sempre più vittima del potere finito in mano ai vari assessori e segretari di partito che, anziché svolgere la loro funzione di rappresentanza degli interessi generali della popolazione, ne sono diventati veri e propri aguzzini.
Mai, prima d’ora, i cittadini lucani erano stati tanto male e mai, dai tempi del fascismo, erano stati privati dei fondamentali diritti democratici. Tuttavia, mai prima dell’ultimo decennio, chi stava al governo aveva avuto un consenso così ampio come quello registrato alle scorse elezioni regionali e provinciali. Come si spiega tutto ciò? Con la sindrome di Stoccolma! Così viene definito quello strano fenomeno che porta la vittima ad ubbidire e simpatizzare con i propri persecutori. In effetti, non proprio di simpatia, si tratta, secondo gli studiosi, ma di un legame segnato soprattutto dallo stato di dipendenza, che si determina, tra chi detiene e chi necessita degli elementi essenziali di sopravvivenza. E’ fuor di dubbio che gran parte della popolazione lucana si trova in condizione di bisogno ed è portata ad identificarsi principalmente con chi detiene gli strumenti per alleviare tale condizione, indipendentemente dalla bontà del loro operato. Le diecimila domande giunte alla regione sulla legge della cittadinanza solidale ne sono la controprova. Ma, allora, se stanno così le cose, è ineluttabile il segno della deriva che ha assunto la realtà sociale della Basilicata? Tutt’altro. D’altronde, è stato assodato che la sindrome di Stoccolma non solo non si sviluppa necessariamente in ogni situazione di cattività ma, in molti casi, il rifiuto degli ostaggi ad ogni tentativo di subordinazione, ha consentito di incrinare l’atteggiamento intransigente e prepotente dei persecutori. E se giungesse forte la protesta che non può essere sufficiente, per garantirsi la benevolenza, la promessa di un misero assegno di 250-300 € alle persone povere, a fronte di una fetta ben più sostanziosa di finanziamenti della legge sulla cittadinanza solidale, che vanno indirettamente ad ingrossare il bottino dei privilegiati di corte? E se il 9 e 10 aprile uscisse dall’urna un segnale chiaro ed inequivocabile di rifiuto di qualsiasi subalternità imposta o pretesa da chi ci ha maldestramente governato?
Non solo Avremmo definitivamente debellato la sindrome di Stoccolma dei cittadini lucani ma avremmo aperto nuove e migliori prospettive per le future generazioni.
Gianmatteo del Brica

giovedì, agosto 10, 2006

 

POLI E POLLI

Taccuino n. 7
I “poli” industriali, i “polli” con l’aviaria, i “poli” di centrodestra e di centrosinistra, il “terzo polo”. Oramai non si sente parlare d’altro; è un frastuono che le radio, le tv, i giornali, sapientemente e, non sempre correttamente, indirizzano verso i cittadini.
Per fortuna che, oramai, ci siamo quasi. Il 9 e 10 aprile si svolgeranno le elezioni politiche per andare a “ratificare” la composizione del nuovo parlamento italiano. Già, questa volta non si tratta di “scegliere” chi dovrà rappresentarci, ma soltanto di confermare, quasi obbligatoriamente, le decisioni che i partiti hanno compiuto. E finalmente, dopo duemila anni è stata trovata la formula per smentire il luogo comune che vuole la politica come una cosa molto diversa dalla matematica. Infatti, grazie ai due poli, che hanno fatto solo finta di litigare ferocemente tra di loro, è stato messo a punto un meccanismo elettorale, che costituisce una specie di capolavoro di calcolo e di esattezza scientifica in campo politico. Soltanto l’imponderabile potrebbe modificare un sistema di autoconservazione e di prevaricazione delle strutture dei vertici dei partiti che, per primo, è stato adottato e sperimentato nella rossa regione Toscana. Altro che denunce e critiche politiche alla legge licenziata appena qualche settimana prima della chiusura della legislatura. La verità è che questa “porcata”, come è stata definita la nuova legge elettorale, da coloro stessi che l’hanno proposta e votata, sta bene ad ambedue i poli. Il perché è presto detto. Se la politica italiana è stata ridotta ad un pollaio, i galletti più furbi e cinici hanno pensato bene di poter alzare la cresta appropriandosi delle uniche postazioni utili per poter comodamente beccare in una mangiatoia così stretta, che di fatto, risulta preclusa a tutti gli altri bipedi. Da noi, gongolano i soliti galli che ben conosciamo: Boccia, Bubbico, Buccico, Luongo, Margiotta, Potenza, Viceconte, che, manco a dirlo, sono i detentori del potere reale all’interno dei due “poli”, questo termine prepotentemente entrato a far parte del gergo politico da dieci anni a questa parte. E’ grazie alla nascita dei “poli” della politica, che sono aumentati vertiginosamente coloro che sono identificati come i “polli” della politica. Io stesso, guardando alla politica con lo spirito dei miei tempi antichi, sarei da annoverare tra i polli sognatori o strombazzatori di idee che non allignano più in gran parte dei politici attuali. Eppure, poco tempo fa non c’era alcuna confusione di interpretazione circa il temine “polo”, né ci poteva essere alcun accostamento con l’interpretazione più cattivella del termine “pollo”, riferita a tutti gli altri esseri non appartenenti alla ristretta cerchia dell’oligarchia dei due principali poli. Il “polo” è entrato a far parte del linguaggio politico italiano dopo l’introduzione del sistema elettorale uninominale, indicante una coalizione di partiti ideologicamente affini che, in seguito ad un accordo, si presentano alle elezioni con un medesimo programma di governo. Così abbiamo avuto il polo di centro-destra e il polo di centro-sinistra. Come se non bastasse, adesso, abbiamo anche il “Terzo Polo” che, però, è figlio del ritorno al sistema proporzionale, segno evidente del fallimento del bipolarismo tutto italiano, che non ha portato nulla di buono, neanche la riduzione del numero dei partiti. Sarà esso l’elemento imponderabile che può scombussolare i calcoli dei due poli? Chissà. Tutto dipende da come si comporterà quella larga fetta di cittadini delusi dalla politica dei due poli e nauseati dalle continue risse che quotidianamente contrassegnano gli schieramenti di Prodi e Berlusconi. Per intanto, bisogna contestare al Terzo Polo l’inesattezza della denominazione della propria lista, impropriamente chiamata “polo”, in quanto non costituita da più partiti, ma da un’unica formazione politica. D’altronde, non conviene neanche, ad un partito appena nato, identificarsi con una definizione per nulla qualificante perfino nei neologismi che ne sono derivati. Nel gergo moderno “polleggiarsi” significa camminare con noncuranza verso gli altri, atteggiandosi. Esattamente come quei galletti furbastri che, anziché andarsi a conquistare il sostentamento nella libera prateria, con una legge di comodo, hanno mortificato le energie più belle e le passioni più profonde. Anche per questo, andrebbero duramente puniti.
Gianmatteo del Brica

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